La notizia che la Francia ha deciso di rimandare un pochettino il pareggio di bilancio apre tutti i siti dei giornali italiani della serata del 1° ottobre ed è l’apertura del Tg1. “Austerità, sei finita!” s’immagina l’italiano disperato tra Tevez e Bruno Vespa. L’euro, dunque, è buono: basta che il peggior governo (stime sui sondaggi riguardo la fiducia verso Monsieur Hollande) d’Oltralpe prenda un po’ il fiato, ed ecco si materializza l’idea: “Quei cattivoni anti-euro, se ne inventavano di ogni, invece è solo una questione politica, vedi, la Francia l’ha deciso, adesso lo farà anche Renzi, la Merkel dovrà accettare”.

Il messaggio è passato ma se questa notizia epocale non ha trovato nemmeno un riquadrino basso nei siti di Le Monde, Le Figaro, France Soir, Libèration, allora significa che qualcosa non quadra.

Contemporaneamente esce la nota di aggiornamento al Def (Documento di Economia e Finanza) della premiata ditta Renzi-Padoan: nota è che una umile sconsacrazione del Def di aprile, quando il fiorentino veniva incensato da tutta la stampa nazionale perché portatore della “svolta buona”.

Ma nonostante la nota di aggiornamento sembri una umile e impotente richiesta di salvezza, sconsacrando anche la fumosa politica di Draghi – ma un mese fa non era il salvatore della Patria? O è solo un ricattatore dittatoriale, che chiede riforme anti-popolari in nome di nessun mandato democratico? – ritornano in mente le parole di Padoan, nel 2013: “La politica di risanamento dei conti sta producendo dolore, ma il dolore è utile, è efficace. Occorre solo cambiare i toni”.

E i toni sono cambiati, ma la sostanza, purtroppo no. Non è più possibile mentire. Basta guardare i numeri scritti da questo stesso governo.

L’AUSTERITA’ RESTA Sarò didascalico: per capire se un governo persegue politiche di austerità (che favoriscono il settore finanziario) o invece politiche espansive (che favoriscono famiglie e imprese), occorre vedere il dato sintetizzato come “Saldo Primario” o “Avanzo Primario“. Se si esclude la spesa per interessi sul debito, questo dato misura esattamente la differenza tra le tasse pagate e la spesa pubblica. Dal 1992 ad oggi, per stare dentro l’euro, gli italiani hanno sempre pagato più tasse rispetto alla spesa pubblica: ed è questo il dato che ci obbliga a due decenni di crisi (parliamo di circa 700 miliardi veri, non le bufale su corruzione ed evasione).

Il governo Renzi, appena insediato, ha compiuto un miracolo di comunicazione: ha fatto credere di invertire questa tendenza con i famosi 80 euro, ma in realtà ha avuto un programma molto più tedesco rispetto a quello di Letta. Con quest’ultimo, la differenza tra le tasse pagate e la spesa pubblica (servizi, investimenti, stipendi, pensioni, eccetera) è stata di 32 miliardi; col fiorentino la si programmò a 40 miliardi.

Il saldo primario infatti fu stimato da Renzi/Padoan in crescita dal 2,2 al 2,6% rispetto al Pil. Questa politica è la prima causa della nuova recessione e del peggioramento dell’economia rispetto al governo Letta. Questa inoltre è una finanza pubblica barbara che tratta i cittadini come sudditi, i quali, con le loro tasse, devono garantire non già la spesa pubblica ma i detentori di titoli di Stato. La grande finanza, per dirla terra terra.

I responsabili non sono gli Ufo, i giornalisti, Balotelli o Francesco Totti. Sono Renzi e Padoan (‘sta roba la firmano loro).

Il peggioramento economico facilmente preventivabile e dallo scrivente preventivato, nonostante l’entusiasmo di Corriere, Repubblica, Tg vari, non consente adesso a Renzi/Padoan di tosare fino al livello atteso gli italiani (Renzi ne è ignaro, Padoan no). Ci sarà dunque un tono più morbido, un andamento rallentato ma sempre verso la stessa direzione. La differenza tra tasse e spesa pubblica scenderà, questa è la novità principale, all’1,7% del Pil (circa 25 miliardi). 

I 15 miliardi di “bonus” (si fa per dire) rispetto alle previsioni di aprile non si sentiranno granché in quanto rientrano, centesimo più centesimo meno (e parliamo ancora di stime), nella forbice di recessione non prevista, quando si stimava un aumento del Pil di circa 12 miliardi (+0,8%) e invece ora si stima (si spera) che si riduca soltanto di 5 miliardi (-0,3%). Insomma, una austerità appena allentata, quel tanto necessario a non togliere l’ossigeno al moribondo.

Poi, ecco, chiedete a D’Alema e Bersani di spiegarvi queste cose. Cuor di leoncini.

SINTESI ESTREMA: Secondo le previsioni del governo i cittadini italiani alla fine del 2014 avranno 25 miliardi in meno nella partita tra loro e lo Stato. Pagheranno 25 miliardi in più di quanto lo Stato sborserà per la collettività.

DISOCCUPAZIONE? Non sappiamo se la riforma del mercato del lavoro avrà qualche effetto. Certo che nelle previsioni governative la disoccupazione non scenderà sotto il 12% fino al 2017. Olè!

AH MA LE TASSE “Non aumenterò le tasse di un centesimo” promette Renzi. Peccato che nei documenti che firma si legga il contrario. La pressione fiscale in rapporto al Pil è prevista rimanere nel 2014 pari pari al 2013 (43,3%), mai sotto il 43% nei prossimi 5 anni, al 43,6% nel 2016.

ARI-SINTESI ESTREMA Il sistema non è riformabile a meno che la Germania non accetti pesanti condizioni re-distributive le quali, se attuate, farebbero deflagare l’eurozona da Berlino. Per restare all’interno dell’Eurozona l’Italia dovrà accettare altri 10 anni di deflazione, bassa crescita o recessione. Ditelo agli eurofanatici e agli euroignoranti.