RIMINI – Durante il Summit MMT Mathew Forstater ha spiegato il suo apporto alla realizzazione del programma di piena occupazione Jefes in Argentina dopo il fallimento del 2001. Di seguito il “dettato” in diretta. 

FORSTATER E IL CASO ARGENTINO
Naturalmente c’era un cambio fisso col dollaro, 1 a 1.
L’Argentina aveva due scelte: o diventare esportatrice netta di beni e servizi o importatori netti di dollari, quindi di capitali. Erano come nello standard aureo, senza tanta differenza.
Per ottenere tutto questo, si chiedeva all’Argentina di privatizzare, tagliare la spesa pubblica, creare austerità insomma. In Argentina c’era un Comitato Monetario creato nel 1991, che controllava l’iperinflazione, perché nel 1989 era superiore al 5000 per cento.
Dopo la fissazione del tasso di cambio nel 1991, nel 1995 l’inflazione era effettivamente all’1,6%.
Come molti casi di cambio fisso nella storia, i limiti e i vincoli del sistema non sono così apparenti in momenti positivi. Quando però arriva la crisi, allora emergono i veri problemi. Il mantenimento del cambio fisso limita le politiche disponibili al governo per ovviare alla crisi: crescono i tassi di interesse, si chiede nuova austerità… Tutto questo rende il paese più vulnerabile. Accadde all’Argentina negli anni ’90 a causa delle crisi finanziarie messicane, russe, asiatiche.
Così l’Argentina andò in grave crisi e seguirono anche sommosse popolari: tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002, abbandonò il cambio fisso con il dollaro e interruppe il pagamento del debito. La disoccupazione era salita alle stelle, i redditi crollati. Vi fu un periodo tragico.
L’Argentina non è l’Italia ma neanche un paese dell’Africa sub-sahariana, è a livello di reddito intermedio.
Cosa è accaduto all’Argentina negli anni 90? è entrata in uno schema di indebitamento Ponzi, dal nome dato da Minsky. Ponzi descrive diverse posizioni debitorie di famiglie, aziende, banche: uno schema di indebitamento continuo in cui i nuovi debiti servono per pagare i debiti precedenti, e via così, fino all’esplosione del sistema finanziario.
Nel sistema monetario moderno con valuta fluttuante, non ci si ritrova in questa situazione, però è ovvio che se un paese si indebita nella valuta di un altro paese, allora rischia di ritrovarsi nella situazione di questo genere.

Uno dei motivi della ripresa dell’Argentina dalla crisi economica, con il ritorno del tasso di cambio fluttuante, fu introdotto il programma Jefes per l’occupazione, definibile come “programma di occupazione dei capi famiglia”.
Era interessante vedere che questo programma fosse ispirato dal nostro lavoro all’università di Kansas City: rimasi sorpreso quando ricevetti una telefonata dal Ministero del Lavoro argentino, e mi invitarono per fare da consulente per il Ministero. In genere dall’estero chiamano i professori americani di Harvard e Chicago…
Il nostro lavoro era comparso in una rivista sponsorizzata da ILO, Organizzazione Mondiale del Lavoro di Ginevra, che fa parte delle Nazioni Unite.
Tre raccomandazioni del piano Jefes erano basate sulla MMT e poi realizzate dal centro C-Feps (Centro of Full Employment and Prices Stability), per la piena occupazione e stabilità dei prezzi, fondato da me e Warren Mosler.
Daniel Kostzer ex ministro argentino del Lavoro, quando ha saputo che venivo in Italia, mi ha detto: “Bene, tu sei quello che ha salvato l’Argentina”. Non vorrei darvi questa impressione, non si tratta di iniziative attribuibili ad un singolo individuo, perché credo sia più importante ringraziare l’allora ministro argentino del Lavoro, appunto Kostzer, che ha avuto il coraggio di realizzare qualcosa di così audace in un paese nei guai come l’Argentina in quel momento, e in un brevissimo lasso di tempo, lui assunse una idea che aveva letto in una rivista della Ilo, per realizzare un enorme programma di garanzia dell’occupazione in Argentina nell’arco di tre mesi. Era riuscito ad applicare questo programma con il 5% della popolazione argentina che partecipò al programma, il che non è poco.
Noi non eravamo nelle università di grido solitamente rinomate: io ero di Kansas City, non era facile presentarmi. C’è voluto coraggio e una grande e ambiziosa visione.
Il Fmi prevedeva il disastro per l’economia argentina, avallato dagli economisti mainstream, che insistevano sul fatto che l’Argentina avrebbe pagato un altro prezzo sul default.
Prima del default l’Argentina era tutta concentrata sull’austerità e politiche fiscali severe, politiche monetarie che sostenevano il tasso di cambio fisso per rafforzare la credibilità. Credo che riconoscete queste parole, qui in Italia.
La ripresa argentina è stata aiutata dalla domanda interna senza aiuto da parte del Fmi e di altre organizzazioni internazionali: il Fmi voleva che fosse annullato il programma Jefes per tutelare ipoteche e mutui sulle loro case.

Il tasso di cambio argentino era fisso, e subito dopo il default il tasso di cambio è schizzato in alto per poi scendere un poco ed ora stabilizzarsi.
E i prezzi? Quando la crisi colpì, i prezzi crebbero, ma poi si abbassarono e l’inflazione è rimasta piuttosto bassa, l’incremento dei prezzi in realtà si è concentrato in un anno, 18 mesi al massimo.
Anche il Pil, dopo il crollo del 2001, poi è cresciuto.
Nel 2002 la disoccupazione era al 20%, nel 2007 era sotto il 10%.
Secondo il regime di austerità, il Fmi, c’era la proiezione di una crescita superiore rispetto a quella registrata in realtà, fino al 13% di errore del Pil nel 2001. Dopo il piano Jefes il Fmi ha previsto un tasso di crescita minore invece rispetto a quello realizzato. Un anno previdero l’1% e invece fu del 9%.

Nel 2007-08 in Argentina purtroppo hanno iniziato ad offrire un reddito anche per far nulla, alcuni pensano che sia la cosa migliore, ma secondo me hanno invece rovinato il programma Jefes che aveva dato ottimi risultati.

Il programma Jefes offriva 150 pesos al mese al capofamiglia in cambio di 4 ore di lavoro al giorno, con lavoro in forma di servizio e manutenzione di piccole attività, ed erano inseriti in programmi di formazione che prevedevano anche il completamento dell’istruzione obbligatoria.

Molti di noi teorici riteniamo che in un programma di lavoro garantito anche la frequenza scolastica di un certo tipo andrà considerata un lavoro.

Questo è uno dei punti forti: certe attività pubbliche, non a scopo di lucro, quindi non in competizione con il settore privato, possono garantire tantissima flessibilità nel modo in cui tali attività possono essere progettate perché le aziende private sono obbligate dalla concorrenza a scegliere tecnologie avanzate o usare certe risorse per abbattere i costi e aumentare i profitti, e tutto questo è logico.

Il settore pubblico può ad esempio usare tecnologie meno nocive per l’ambiente, può lavorare con più tranquillità in relazione alle risorse ambientali.

Una economia con forte disoccupazione perché dovrebbe utilizzare un tipo di occupazione ad alta intensità di capitale per il settore pubblico? Sarà un metodo quindi ad alta intensità di lavoro e non di capitale, cosa questa che appartiene di natura al sistema privato che resterà autonomo.

Le aziende private sono efficienti per natura anche a livello di uso del capitale e dei lavoratori. Il settore pubblico può puntare con questo sistema ad una efficienza ad esempio ambientale.

Perché il mercato dovrebbe essere l’unico fattore che determina il valore del lavoro?

Con il programma di occupazione garantita, possiamo decidere come la società possa dare un valore a certe attività, rendendo queste attività appetibili.

Il programma Jefes non era un programma universale, in Argentina era per i capofamiglia, la cosa ha reso forse l’applicazione più complicata, comunque la famiglia per accedere doveva avere figli con meno di 18 anni, o una donna incinta, o un disabile; solo partecipante per famiglia poteva partecipare.

Invece è possibile anche ampliarlo a tutti coloro che desiderano partecipare a questo programma.

In Argentina questo programma crebbe fino all’1% del Pil e 5% della popolazione argentina. Il suo contributo è stato poi essenziale come è stato riconosciuto anche da alcuni ricercatori della Banca Mondiale.

La MMT fece delle previsioni su questo programma: dicemmo che all’inizio questo programma doveva essere ampio e per il maggior numero di potenziali richiedenti, in seguito invece se il reddito nel settore privato fosse aumentato il programma si poteva ridurre.

Perché quando l’economia si riprende il numero di richiedenti diminuisce perché trovano lavoro nel settore privato, comunque più appetibile.

Il numero di partecipanti al programma che poi sono passati al lavoro nel settore privato sono cresciuti di anno in anno. Molti erano disoccupati, molti sono stati re-inseriti nel settore privato.

Tra le ragioni per cui si è contenti del programma vi sono giudizi come “sono utile per gli altri”, “faccio qualcosa di utile per gli altri”: questo ci dice cose molto importanti che sanno gli antropologi e sociologi ma non sanno gli economisti mainstream: la gente vuole fare qualcosa, lo preferisce all’inattività.
Il 90% delle persone si dicevano molto o abbastanza soddisfatti: ottimo, per un programma fatto in tre mesi.

I principali limiti del Jefes erano, secondo noi:

– non era universale
– il salario non permetteva di vivere pienamente
– la componente educativa era ridotta.

Noi volevamo cambiare un po’ queste cose, ma siamo convinti che l’Italia queste cose non le farà.

Per l’Italia: abbandonare il tasso di cambio fisso può consentire di usare le risorse domestiche anche senza il sostegno del Fmi, un programma di pieno impiego basato sui principi della finanza funzionale sarà molto utile.
Occorrerà però essere molto cauti. L’Italia non è l’Argentina. Per ogni paese va considerato il contesto storico, culturale. Occorrerà mettere a punto programmi e politiche per il singolo caso. Ad ogni modo l’esperienza Argentina è utile per vedere come si sia lavorato in maniera pratica in questo ambito, per elaborare il piano migliore per il futuro.

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