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Al netto di alcune – troppe per i detrattori – esagerazioni (“Ci saranno miliardi di morti”) molte delle analisi di Giulietto Chiesa sono ovviamente condivisibili. Il solo pensiero che la Cina, fra 10 anni, raddoppierà i propri consumi fa capire come la gara mondiale per l’approvvigionamento delle materie prime diventerà spietato. Violento.

Con ripercussioni ambientali gravissime.

Eppure tutto ciò ci è noto. Lo sappiamo da decenni. Da Rio 1992, almeno. Dal Club di Roma 1972. Lo sappiamo, il patrimonio di informazioni secondo cui il mondo è finito e quindi le risorse non sono finite, fa parte ormai del bagaglio di conoscenza collettivo, almeno in Occidente.

Chiesa su questo aggiunge poco di nuovo. Fa bene a ricordarlo, perché si viaggia verso lo schianto, o la guerra come la chiama lui, sempre più velocemente. Ma l’analisi deve essere accompagnata da una lucida strategia d’azione a breve periodo.

Qui, purtroppo, Giulietto Chiesa e tanti come lui – decrescisti? – non hanno strumenti operativi. Aspettano il grande cataclisma inevitabile. Non ci sono freni a portata di mano per fermare il treno: e allora che si schianti!

Il loro mentore, Serge Latouche, disegna infatti un manifesto della decrescita felice di lungo periodo, e contemporaneamente afferma: “La decrescita è rivoluzionaria, ma per arrivarci occorrerà un programma riformista”. Il quale, però, è tutto da scrivere. E, sempre per Latouche, sarebbe da scrivere a seconda delle culture e delle necessità locali.

Se un Giulietto Chiesa diventasse oggi Presidente del Consiglio, dovrebbe però abbandonare l’incarico dopo pochi giorni. E non solo per la dittatura dei mercati – che Chiesa sembra incapace di affrontare – ma anche per l’impossibilità di garantire il minimo benessere ai suoi cittadini, semmai lo eleggessero a tale incarico.

Perché purtroppo oggi la decrescita è in atto proprio in Europa e in Italia: è la decrescita delle austerità (“si chiama povertà”, scrive Joseph Halevi). Disoccupazione, precarietà, aziende che chiudono.

Purtroppo con le armi di Giulietto Chiesa la versione del professor Luigi Zingales dell’università di Chicago non trova opposizione vera, se non di facciata: “Dopo la fine del comunismo abbiamo vissuto anni che credevamo di espansione del libero mercato, ma la crisi del 2008, che è sistemica e non ciclica, ci impone di trovare nuove risposte. Tutti i movimenti di opposizione di questi anni, da Occupy Wall Street agli Indignados, sono privi di una alternativa rispetto alla crisi attuale” (disponibile solo presso Zingales e i Chicago boys, ndr).

Chiaro: sindrome T.I.N.A. (there is no alternative, non ci sono alternative). Però Zingales rischia di avere ragione (nonostante non ce l’abbia): non conta quanto l’automobile abbia il motore potente e la carrozzeria luccicante. Senza un banale manubrio, anche gli eccessi di Giulietto Chiesa saranno banalmente ridotti a chiacchiericcio ininfluente.