«Quando cinque anni fa ho conosciuto Harry Shindler, quel pover’uomo, allora quasi novantaseienne, avrà dovuto pensare che quella ragazzina in fase post adolescenziale non poteva fare sul serio.

D’altronde io avevo deciso di chiamarlo al telefono senza alcuna motivazione. Semplicemente morivo dalla curiosità di parlare con un anziano che aveva vissuto il periodo storico che più suscitava in me un’immensa ondata di passioni travolgenti.
Avevo ancora in mente l’approccio sviluppato in tanti anni di vicinanza con i miei bisnonni, e forse inconsapevolmente provavo il desiderio ardente di continuare a intessere con loro quel rapporto che lega insieme le generazioni grazie al filo della memoria e del racconto diretto.
Così un giorno, il 9 maggio di cinque anni fa compongo quel numero e attendo trepidante che la voce dall’altra parte si faccia sentire in risposta. Così avviene. Il suo “pronto hello?” resta uno dei momenti più memorabili della mia giovane vita.
Inizio la conversazione. Inizialmente cerco di spiegare il motivo della chiamata, poi passo a parlare in un inglese talmente stentato che io stessa facevo fatica a riconoscermi. La sua voce e il suo temperamento pieni di comprensione e di stupita curiosità protrassero la conversazione e ci spinsero a spaziare su una serie di argomenti.
Un episodio in particolare suscitò in me particolare emozione. Mi raccontò di quando aveva assistito, in prima persona, all’esplosione del ponte di porta Maggiore. Tale operazione era una manovra di routine dei comandi tedeschi che pattugliavamo la città. A quelle parole seguí un mio pianto ininterrotto che davvero faticavo a controllare.
Non potevo credere a ciò che avevo appena udito. A quasi ventuno anni stavo sperimentando per la prima volta la portata emotiva di un racconto che già avevo vissuto tramite le parole speculari della narrazione del mio bisnonno. Anche lui, come Harry, si era trovato al cospetto di quell’azione tedesca.
Lacrime a parte, toccare con mano la storia è un esercizio che ho scelto di praticare come stile di vita tutte quelle volte che ci sono le possibilità di farlo. La fortuna di questo incontro mi ricorda, oggi e sempre, quanto tempo e quante energie di noi stessi possiamo spendere ogni giorno per il compimento di piccole opere di civiltà.

Perché, come spesso mi ricordava Harry a quasi 102 anni, la vita fugge via senza che uno se ne renda conto. E non vale la pensa perdersi in conflitti, litigi o grandi apprensioni. Parola di chi, della propria vita, non ha sprecato mai un istante.

Mi mancherai per sempre.
Un cordiale saluto
Mara Piconi»