TERAMO – Gira intorno ai rifiuti e alla costruzione di un bioessiccatore a Teramo la vicenda che ha provocato il terremoto politico in un Abruzzo, ancora una volta travolto dalle macerie di una politica regionale ormai implosa su stessa.

Sono durate circa due anni le indagini portate avanti dalla Procura di Pescara in collaborazione con la Questura. Lasso di tempo in cui sono state passate al vaglio centinaia di carte e documenti, e ascoltate decine di migliaia di intercettazioni telefoniche, che hanno permesso di scoprire e ricostruire nel dettaglio situazioni, ruoli e posizioni ricoperti dalle persone coinvolte.

«E’ molto peggio della Sanitopoli che decapitò la giunta Del Turco nel 2008» si legge fra le carte dell’inchiesta della Procura di Pescara «perché in questo caso si tratta di un sistema. Non esiste l’interesse pubblico, contano solo soldi e potere». Parole pesanti come macigni, che non si vorrebbero leggere a descrizione del modus operandi di politici eletti per amministrare nell’interesse dei cittadini.

Interesse che invece in questo caso era, per l’accusa, tutto incentrato sulla costruzione di un bioessiccatore a Teramo (che tratta i rifiuti producendo ecoballe, da smaltire poi in inceneritori), e in cui l’assessore regionale alla Sanità Venturoni avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel favorire gli imprenditori Di Zio, leader nello smaltimento di rifiuti in Abruzzo. Un progetto partito già nel 2007, quando Venturoni era presidente del Cda della Team, che gestiva i servizi ambientali del Comune di Teramo, ma che avrebbe avuto la spinta decisiva per la realizzazione dopo l’elezione del medico teramano in Regione. L’obiettivo sarebbe stato quello di aggiudicarsi costrizione e gestione dell’impianto svicolando dall’obbligatoria gara di appalto prevista dal regolamento europeo.

E quando si è visto che dell’appalto per l’inceneritore non si poteva proprio fare a meno, si sarebbe ricorso ad altre scappatoie: in questo sistema si innestano quindi i due senatori del Pdl Tancredi e Di Stefano. In particolar modo il primo avrebbe avuto il compito di esercitare la sua influenza di parlamentare per pilotare l’aggiudicazione della gara. Avrebbe inoltre, sempre per la Procura, «esercitato pressioni per creare quelle condizioni di legge per realizzare un inceneritore in Abruzzo, e cioè abbassando la soglia del 40% di raccolta differenziata, quale condizione per il via libera». Il secondo, che pure si sarebbe impegnato per favorire i Di Zio, avrebbe ricevuto somme dagli imprenditori a sostegno di alcuni candidati nella campagna elettorale (a Pescara, in favore del candidato sindaco Masci, estraneo all’accordo, e a Napoli, per un candidato al Parlamento europeo).

Ventimila euro, attraverso Tancredi, sarebbero arrivati anche a Teramo, per la campagna elettorale di Brucchi. Tutto in funzione della costruzione dell’inceneritore. La Procura sostiene che Brucchi all’epoca avrebbe saputo dell’accordo, da qui l’accusa di corruzione.

Nell’intricata vicenda poi sono coinvolti anche altri politici ed imprenditori, che invece avrebbero voluto spostare la costruzione dell’inceneritore nella Marsica. Il tutto per fare dello smaltimento dei rifiuti un vero e proprio business, soprattutto nelle situazioni di emergenza, che avrebbe fruttato nel giro di pochi anni almeno cento milioni di euro.

Nel bailamme di trame volte a raggiungere lo scopo, si è ritrovata invischiata anche l’ex assessore regionale all’Ambiente Daniela Stati, accusata di favoreggiamento. La Stati avrebbe subito pressioni politiche per orientare verso i Di Zio l’attribuzione dell’appalto per la costruzione e la gestione dell’inceneritore a Teramo. Ingerenze ripetute di Venturoni nel suo assessorato tali da portarla a lamentarsi anche con il governatore Chiodi. Ma interrogata lo scorso mese di novembre come persona informata sui fatti, non fa alcun riferimento alle pressioni ricevute. Secondo l’accusa quindi avrebbe aiutato ad eludere le indagini sulla corruzione, risultando quindi indagata per favoreggiamento.