dal settimanale Riviera Oggi numero 818
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Torniamo a parlare del caso di Maria Grazia Villa, direttrice del Mercato Ittico all’Ingrosso, e dei 650mila euro di soldi pubblici che il Comune deve sborsare per via della lunga controversia legale con la funzionaria, recentemente chiusa da una decisione del Consiglio di Stato, il supremo organo della giustizia amministrativa.
ANTEFATTO La Villa, difesa dall’avvocato Jacopo Severo Bartolomei, dal 1995 reclamò la piena equiparazione del proprio stipendio di dipendente comunale a quello che viene corrisposto ai funzionari apicali, cioè ai dirigenti comunali di prima categoria. Pur se non assunta come dirigente, la grande rilevanza del Mercato Ittico comunale sambenedettese la rende carica di responsabilità e quindi del diritto di uno stipendio da vero e proprio dirigente comunale.
E dal 1995 c’è stata una lunga sequela di sentenze, ricorsi e pronunciamenti giudiziari, fino alla inappellabile parola fine scritta dal Consiglio di Stato con la decisione del primo dicembre 2009, depositata il 17 febbraio scorso.
Lo stipendio medio di un dirigente comunale si aggira fra i 70mila e gli 80mila euro lordi annui, come si può vedere anche dalla apposita sezione del sito web del Comune
Dei 650mila euro che il Comune dovrà sborsare, solo una parte (circa 200mila euro) finirà ora nelle tasche della dottoressa Villa. Il resto va nel monte dei contributi pensionistici che la dipendente pubblica va maturando. Perciò la sua pensione sarà equiparata a quelle spettanti ai dirigenti comunali.
UNO SGUARDO ALLA SENTENZA Leggere il testo della decisione del Consiglio di Stato rende la ricostruzione più precisa. Nel 1997 il Tar Marche annullò la delibera consiliare che modificava in senso peggiorativo il regolamento comunale del Mercato Ittico, che inizialmente invece prevedeva per il direttore della struttura lo stesso stipendio dei dirigenti comunali.
Poi, pensando di essere nel giusto, in realtà il Comune aveva ”ceduto” alle richieste della funzionaria già nel 2003, quando applicando una prima decisione del Tar Marche aveva corrisposto alla Villa un assegno ad personam pari alla differenza fra lo stipendio da dirigente che le spettava e il suo stipendio percepito fino a quel momento (categoria D3 posizione economica D3.5). Ma il primo successo non bastò alla direttrice del Mercato Ittico. Che si lamentò per vie legali del fatto che la cosiddetta indennità di posizione che gli venne corrisposta era in realtà basata sulla misura minima prevista dal contratto collettivo di lavoro, mentre per gli altri dirigenti del Comune non era affatto così.
Insomma, l’assegno ad personam non fu sufficiente. Il Tar nel 2009 con un’altra sentenza giudicò errata la decisione del Comune di corrisponderle lo stipendio dirigenziale “minimo” e di non darle la cosiddetta ”retribuzione di risultato”, cioè l’extra che spetta ai dirigenti in base agli obiettivi raggiunti nel corso dell’anno, valutati in base a criteri precisi. Il Comune fa appello, ma lo perde in Consiglio di Stato, e siamo ai giorni nostri.
Dal Palazzo di viale De Gasperi, in sostanza, contestano questi concetti: come si fa ad equiparare la Villa agli altri dirigenti comunali senza aver analizzato nel dettaglio i risultati nella sua situazione lavorativa e del suo effettivo inserimento nella struttura organizzativa del Comune (nella quale di fatto il direttore del Mercato Ittico è subordinato al dirigente del settore Finanze)? E soprattutto, come si fa a valutare l’extra legato ai risultati ottenuti, se mancano una preventiva definizione degli obiettivi annuali e la conseguente verifica e certificazione?
Ma il Consiglio di Stato non sente ragioni e, semplificando il senso della sua ultima decisione, afferma che la parte di stipendio extra legata ai risultati raggiunti andava calcolata in astratto, “come se la Villa fosse idealmente in possesso della qualifica apicale e ne svolgesse le relative funzioni” (scrive la quinta sezione del Consiglio di Stato presieduta da Pier Giorgio Trovato).
I Mercati Ittici sono strutture dotate di ampia autonomia e i compiti dei suoi direttori sono propri di un funzionari apicale. Questo viene sostenuto.
E ora al Comune tocca sborsare. Soldi pubblici, soldi nostri. Anzi no, di fatto quei soldi da un pezzo non sono più nostri, essendo stati “sborsati” ben prima degli ultimi sviluppi, giacendo stanziati in un apposito fondo del bilancio comunale. Pronti per adempiere alle decisioni giudiziarie sui contenziosi, pronti a non essere spesi per la collettività che, come vedremo qui, ne avrebbe avuto grande bisogno. E morale della favola, nessuno paga per quanto accaduto.
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