Cerchiamo di capire un po’ meglio la situazione connessa al Recovery Fund, salutato da gran parte dei politici italiani (e della stampa) come la salvezza per l’economia italiana colpita dalla crisi della pandemia Covid-19.

Grazie ad un articolo di Giovanni Colombo pubblicato sull’Huffington Post, che ha pubblicato alcune tabelle tratte dai documenti elaborati dal governo, scopriamo dunque che il Recovery Fund per l’Italia “pesa” 193 miliardi (ci sono poi altri fondi comunitari per altri 13 miliardi, al che la somma arriva a 206). Di questi, 127,6 saranno prestiti e 65,5 “sovvenzioni” (a fondo perduto). Il periodo di elargizione del Recovery Fund è 2020-26, praticamente l’intervallo del bilancio Ue; anzi, 2021-26. Soltanto 18 miliardi (10 sovvenzioni e 8 prestiti) saranno elargiti nel 2021. Il resto come da tabella seguente.

Tabella Recovery

L’articolo di Colombo accenna ad alcuni aspetti centrali del Recovery Fund. Cercheremo di chiarirli ancora ma allo stesso tempo occorrerà sottolineare una dimenticanza presente nell’articolo, così come in tutta la discussione nazionale sul Recovery.

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COSA MANCA Le “sovvenzioni” sono stanziamenti a fondo perduto. Hanno la caratteristica che non andranno a gravare sul deficit annuo. Si tratta di 65,5 miliardi in sei anni, circa 11 miliardi all’anno, lo 0,6% del Pil. Si tenga presente, per capire di quali cifre parliamo, che nel 2020 il deficit italiano per rispondere alla pandemia salirà a circa 100 miliardi, poco meno del 6% del Pil. Una cifra molto più bassa rispetto alla risposta dei paesi extra-eurozona, ma comunque di 10 volte superiore alle “sovvenzioni” di cui si tratta.

Ma andiamo a vedere.

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E MANCANO 20 MILIARDI RISPETTO ALLE PROMESSE In tutta la scorsa primavera e durante l’estate l’ammontare delle “sovvenzioni” spettanti all’Italia veniva indicata in 80-85 miliardi. Ad esempio Repubblica del 20 maggio 2020: “Per l’Italia, il conteggio dei benefici filtrato da Bruxelles è di quasi 82 miliardi di trasferimenti e oltre 90 di prestiti“.

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UN BILANCIO DOVE C’E’ L’AVERE MA MANCA IL DARE Nella tabella sopra indicata c’è l’Avere dello Stato Italiano in tema di sovvenzioni. Manca incredibilmente il Dare. Se l’Avere relativo al Recovery Fund è di 65,5 miliardi, quanto è il Dare? Come è possibile fare valutazioni se non si conosce questo dato fondamentale?

Ad esempio, per quanto riguarda il bilancio europeo, oggi tutti i Paesi Ue contribuiscono al bilancio Ue per il 98% e ne ricevono una parte: qualcuno versa più di quanto riceve, qualcuno in contrario. L’Italia ad esempio ha versato alla Ue in sette anni 113,1 miliardi ricevendone 75,4 (-37,7).

Ma del RF non sappiamo quanti miliardi dobbiamo versare, facendo davvero i conti, (o il “Conte”) senza l’oste. Il blog La Fionda ci spiega in che modo sarebbero calcolati i fondi da versare per l’Italia (anche il blog era rimasto ad una impostazione di 85-80 miliardi di sovvenzioni): “Saranno chiamati a rimborsare (in base al PIL) la parte del debito comune emesso dalla Commissione destinata ai trasferimenti. Dunque, alla fine, come vale già oggi per il bilancio europeo, a determinare se un paese ci avrà guadagnato o meno dai trasferimenti inerenti al NGEU sarà il saldo finale tra la somma che avrà ricevuto dal fondo in questione e la somma che invece sarà chiamato a rimborsare“.

Se prendiamo le parole del leader di Azione Carlo Calenda, non l’ultimo degli euroentusiasti dunque, il saldo tra Dare e Avere per l’Italia era di 26 miliardi, quando l’ammontare dell’Avere era stimato anche dallo stesso Calenda di 80 miliardi e non 65 (clicca qui).

E dire che la struttura dell’Eurozona doveva proteggerci dall’ec0nomia globalizzata. Fuori dalla cornice euro si muovono liberamente e con vere “potenze di fuoco”, altro che quelle contiane.

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C’E’ DI PEGGIO La parte dei trasferimenti resta minoritaria nel RF. Ci sono infatti 127,6 miliardi di “prestiti”. Qui basta citare Colombo: “Questi soldi sono prestiti, sono cioè soldi che andranno restituiti. E, da subito, pongono un problema: aumentano il deficit“. Il che non sarebbe drammatico in nessun paese occidentale, ma non in Eurozona;  perché “il problema delle regole europee sulla disciplina di bilancio è stato solo rimandato“.

Di questo ne è consapevole anche Gualtieri e infatti nel documento, scrive Colombo, si legge: “La componente prestiti non si tradurrà interamente in un aumento del deficit”. Ovvero: “Alcune delle spese finanziate con questi prestiti potrebbero sostituirne altre (…) il nuovo deficit andrebbe a sostituire quello che sta già finanziando alcune misure e quindi il saldo sarebbe nullo. E poi si parla di compensazioni che possono derivare da un aumento delle entrate“.

Quindi i circa 127 miliardi in sei anni (a fronte di quasi 100 miliardi disposti dal governo in 9 mesi nel 2020) sono prestiti e saranno compensati o da minori spese o da maggiori entrate o da un mix di nuove entrate e meno spese.

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A CHI SERVE IL RECOVERY FUND? Stiamo parlando, nella migliore delle ipotesi, di pochi miliardi all’anno. Eppure il Recovery Fund è funzionale ad una sommatoria di interessi variegati: a Conte che si vanta di un grande successo personale e può richiedere ancora tempo per il suo governo nella fase di gestione del RF; per Pd e Italia Viva, che già parlano di nuova Europa e di opportunità; per il M5S, la cui retorica è doppia: come Conte, si copre di vana gloria magnificando il proprio ruolo governativo, e incredibilmente ha dei maldipancia sul Mes che a confronto del RF è una passeggiata.

E’ funzionale al massimo agli interessi esteri, espressamente del blocco tedesco ma non solo, perché attraverso il Recovery Fund si attiva una procedura per la quale qualsiasi Stato dell’Eurozona può richiamare un altro Stato non soltanto per i fondi del RF (e ci starebbe) ma per la qualità dell’intera spesa e tassazione del bilancio pubblico. Sì, avete capito bene: per un insieme di prestiti di poco di 20 miliardi annui Pil si potrà controllare in che modo l’Italia, ad esempio, gestirà 800 miliardi di bilancio annuo.

Lo dimostra tanto per cominciare un’anticipazione del quotidiano spagnolo El Pais: il Recovery Fund per la Spagna è già condizionato, prima di arrivare, a richieste delle celebri “riforme strutturali” (clicca qui).

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COME SAREMO CONTROLLATI L’incredibile baraccone burocratico europeo riprodotto dalle task force contiane pari pari sarà però elargito – sembra incredibile ma è così – solo sotto una stretta e costante sorveglianza che può essere bloccata dopo ogni controllo con le conseguenze politiche ed economiche immaginabili. Nessun governo potrà scostarsi da quello che verrà definito. Ma quali sono questi presupposti?

Rimandiamo all’articolo di Atlantico Quotidiano (una rivista di orientamento iper-liberista) per una lettura dettagliata (qui): l’elemento più caratterizzante sarà quello di un’adesione alle raccomandazioni della Commissione Europea e la richiesta di un check in al Consiglio Europeo anche da parte di un singolo Stato. Raccomandazioni che cambiano di anno in anno ma che comunque hanno il solito comun denominatore: riforme strutturali, ovvero “Nel caso dell’Italia, com’è noto, innanzitutto la riduzione del rapporto deficit/Pil strutturale e del debito pubblico. Tra le misure “suggerite”, imposte sugli immobili, taglio delle agevolazioni fiscali e delle aliquote Iva ridotte, quindi più tasse. Ma anche contrasto dell’evasione fiscale e della corruzione, riforme delle pensioni, del lavoro, della giustizia“.

Ad esempio sulla modifica del Trattato Mes, oggi al voto in Parlamento…

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PERCHE’? RF e Mes sono in realtà due parentesi che servono a commissariare ulteriormente le democrazie europee da parte della governance non democratica europea prima che si arrivi alla vera partita post-pandemia: ovvero una Bce che sia garante o meno dei debiti pubblici europei e il mantenimento o meno del patto di stabilità. Qualsiasi governo che vorrebbe porre la riforma di questi due temi gravato dalle zavorre delle condizioni sopra esposte sarebbe spazzato via al primo ditino alzato.

L’Italia di Gualtieri si è fatta avanti, e già nel corso del 2020, nonostante i tassi a zero o negativi grazie all’azione della Bce, invece di approfittarne e fare cassa ha ridotto al minimo la quantità di titoli all’asta…

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L’Italia di oggi sembra quella del ‘600, alla mercé di invasori e dominatori stranieri, frazionata, senza uomini alla guida capaci di avere coraggio pari alle sfide che sarebbero chiamati ad affrontare. Abbiamo lacchè del Vero Potere che sgobbano davanti alle telecamere per convincere i cittadini di quanto sia giusto obbedire alle richieste di potenze straniere burocratizzate e finanziarie (governance), e di come sia pericoloso e insensato discutere le direttive superiori.