SAN BENEDETTO DEL TRONTO- Nel 2001 un giovane acquista una casa all’asta e solo nel 2006 riesce ad entrarne in possesso perché occupata. Alla consegna scopre un appartamento completamente deturpato e imbrattato da scritte offensive. Dopo la scoperta l’uomo denuncia il vecchio inquilino che viene processato nel 2010 e condannato. Nonostante l’archiviazione del caso la Procura riapre il fascicolo e conduce alla sbarra anche il figlio del condannato, ritenuto anche lui autore di furto e danneggiamento di quell’immobile. Per lui il 5 aprile 2011, la corte del Tribunale rivierasco ha emesso sentenza: condannato in primo grado a anno e due mesi, più spese processuali ed eventuali risarcimenti da definirsi in sede civile.

La vicenda è nata nel 2006, quando un giovane sambenedettese dopo aver acquistato un appartamento all’asta ha visto l’affare andare letteralmente in rovina. Dalle porte ai semplici interruttori della luce, fino ad arrivare alle scritte offensive sulle pareti, il danno era talmente sconcertante per il giovane, che ha subito denunciato il vecchio inquilino V.A..

Inevitabile il processo nel quale l’imputato è stato ritenuto colpevole di danneggiamento, ma ciò nonostante, dopo l’archiviazione del caso la Procura lo riapre. Dalle testimonianze rilasciate durante il procedimento, sono emerse circostanze nuove che ponevano nel quadro delle accuse anche il figlio del condannato.
Sarebbero stati i testimoni ad aggiungere dettagli ad una vicenda che si credeva messa in atto da un solo uomo. Dettagli precisi che riguarderebbero il coinvolgimento del figlio durante alcune azioni di trasloco poco chiare: è stato visto trasportare all’esterno di quell’immobile alcuni radiatori in più situazioni, ed altri beni appartenenti all’appartamento dove viveva il padre.

Per il Pubblico Ministero Ines Nardino, le testimonianze avrebbero messo in luce anche le responsabilità del giovane figlio, che venne ignorato nel primo provvedimento penale nel quale fu accusato solo il padre come unico autore dei fatti criminosi.
Fatti e accuse che per l’avvocato del giovane imputato, Leonardo Grossi, sarebbero infondate perché non sono emerse prove oggettive ma solo deposizioni “poco chiare”.
Di parere opposto invece, è il legale della famiglia lesa, l’avvocato Paolo Gaetani, che della vicenda ricorda appunto il valore dei testimoni in quanto fondamentali nella ricostruzione dei fatti.

Le conclusioni dei legali non hanno modificato le decisioni del Giudice Giuliana Filippello, che rispettando le richieste del P.M., ha condannato in primo grado A.A. (figlio di A.F.), ad 1 anno e due mesi, aggiungendo una sanzione di 700 euro più le spese processuali ed eventuali risarcimenti da definirsi in sede civile.