SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Fa discutere molto il futuro dello stadio “Riviera delle palme“. La mia soluzione? Un accordo trasparente legato al raggiungimento della serie A o ad un decennio tra i cadetti», scrivevo la settimana scorsa senza però approfondire il concetto.
Lo faccio adesso partendo da un semplice presupposto: per partecipare ai campionati di serie C1 o sottostanti, la messa a norma attuale per 7500 spettatori è più che sufficiente. Quindi nulla serve per continuare a giocare in C1. Oltre 3 milioni di euro servono invece per portare l’agibilità oltre i 7500 posti. Aumenti di capienza che si giustificherebbero, però, soltanto con l’arrivo in serie B o in serie A della nostra gloriosa squadra.
Non sarebbe quindi il caso di riparlarne quando i presupposti per tali traguardi siano più realistici? L’attuale momento parla di possibile retrocessione in serie C2 dove 3-4 mila posti (se si dovesse lottare per la promozione in C1) sarebbero più che sufficienti. Perchè tanta fretta? Che sarebbe giustificata soltanto se (non so se la cosa è possibile) eventuali concessioni di spazi fossero legate al raggiungimento della serie A o ad un decennio in serie B. Quello appunto che dico all’inizio di questo articolo tra il serio e il faceto.
Sarebbe oggi l’unico escamotage per giustificare una simile spesa. Perchè, come dice anche un lettore, si parla poco, se non in termini confusi, del futuro sportivo della Sambenedettese calcio. Dice qualche altro lettore: la proprietà degli spazi non va legata alla proprietà della squadra bensi alla stessa società sportiva Sambenedettese Calcio. Non voglio fare il malizioso ma semplicemente il previdente se dico che il problema non sarebbe in ogni caso risolto. Perché? Perché se la proprietà decidesse di tenere sempre la società per mantenere spazi e capitali attribuiti, non avrebbe alcun vincolo per quel che riguarda la categoria calcistica di appartenenza: potrebbe optare di investirci poco e tenere la squadra tra la serie D e la C2, per esempio. Come si potrebbe impedirlo? Nessun riferimento a persone o luoghi ma il detto “patti chiari amicizia lunga” funziona da sempre benissimo. Chi si comporta diversamente va spesso incontro a conflitti.
Chiudo ribadendo un concetto spesso trascurato: se la Samb ha un certo valore di mercato non lo deve a chi la possiede, seppur con una oculata gestione come quella dei Tormenti o rubandoci sopra come hanno fatto altri. Lo deve esclusivamente alla sua gloriosa storia del dopoguerra (65 anni!) fatta di 21 campionati cadetti, appena tre retrocessioni che hanno fatto crescere a dismisura l’amore per una squadra bandiera e vanto cittadino, creando un “nocciolo duro” di 2-3 mila tifosi che poche altre città italiane possono vantare. La frase “La Samb siamo noi”, vista sotto questo profilo, è sacrosantamente vera.

P.S. Ingiustificato anche legare la maggiore capienza a partite estive di grande interesse. Ci relegheremmo a soggetto passivo del calcio italiano. I tanti anni tra i cadetti reclamano una partecipazione attiva in confronti con squadre che richiamano pubblico. Altro distinguo: il calcio è un gioco e i traguardi non sono programmabili con certezza? Non è vero e lo dimostrano società come Siena, Palermo, Messina, Parma a suo tempo, e altre che, quando hanno investito pesantemente, il ciclo è scattato di conseguenza. Si può, si può.