ROMA – Molti posti vuoti nella sala convegni del Cnr, purtroppo. Si tiene a Roma il terzo forum italiano sulla governance di Internet (Igf) il 29 e il 30 novembre. Lo abbiamo anticipato lo scorso 6 novembre, l’Igf è l’occasione per riunire e mettere a confronto le opinioni dei portatori di interessi come pubbliche amministrazioni, enti di ricerca, università, industria privata e singoli cittadini. “L’apertura e l’inclusività rappresentano le carateristiche inclusive, caratteristiche che devono essere rafforzate” dichiara il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione Renato Brunetta e aggiunge: “La qualità e la quantità di contributi dell’Igf Italia rappresentano un risultato straordinario per la codifica delle buone pratiche sulla governance di Internet”.

Il metodo che viene utilizzato nelle decisioni è quello denominato bottom-up cioè dal basso verso l’alto: i portatori di interessi si confrontano nelle realtà nazionali o regionali e le risultanze vengono portate agli incontri mondiali presso le Nazioni Unite.

Markus Kummer, coordinatore esecutivo del segretariato Onu per l’Internet governance forum, sottolinea proprio questo, cioè che “la caratteristica di Igf è il dialogo aperto a tutti gli attori. Si tratta di un organismo che forma l’opinione pubblica, non prende decisioni in modo diretto. Le parole calde che nel corso degli ultimi 5 anni hanno caratterizzato tutti gli incontri del forum sono state: Internet, persone, accesso, pensiero, bisogno”.

In Italia i numeri di Internet non sono incoraggianti rispetto agli altri Paesi europei o rispetto al resto del mondo. Li snocciola Domenico Laforenza, direttore dell’Istituto di informatica e telematica presso il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa: “I dati dicono che stiamo rasentando i due miliardi di utenti Internet a livello mondiale. In termini di milioni di utenti l’Asia è in testa, seguono Europa, America settentrionale, America latina e Africa. La penetrazione, cioè i navigatori per numero di abitanti, è diversa: il 21,5% in Asia, 77% in America, 58% in Europa dove la Germania si conferma protagonista con il 79% di utilizzatori della Rete. L’Italia è solo quarta con il 50% circa. Per quanto riguarda i nomi a dominio .it si è arrivati, il mese scorso, a due milioni di registrazioni: in testa la Lombardia con oltre il 20% dei nomi. Le Marche sono il decima posizione con il 2.93%. Si segnala la Provincia di Ascoli Piceno per il rapporto del numero dei nomi a dominio rispetto al numero di abitanti, seconda solo alla provincia di Milano“.

Tullio De Mauro, professore di Linguistica fa un parallelo con l’alfabetizzazione, non quella informatica. “C’è una frattura tra i dati basati sulle dichiarazioni degli intervistati rispetto a quelli cosiddetti osservativi. Secondo l’Istat  esistono in Italia circa 700mila persone che dichiarano di essere analfabeti, circa cioè l’1% della popolazione. Invece dall’osservazione si evince che l’analfabetismo è al 5%. Da altri studi si capisce che solo il 20% degli italiani è in grado di comprendere testi mediamente complessi e fare calcoli non troppo complicati. Si evidenzia dunque una discrepanza tra i dati certificati e quelli dichiarati anche per l’utilizzo di Internet da parte degli italiani. Dalle indagini fatte dalla fondazione Mondo digitale di Roma si evince che solo il 38% degli italiani usa Internet (contro il 50% circa di quello illustrato dai numeri di Laforenza). Incrociando i due dati, quello dell’analfabetismo e quello dell’uso della Rete si può dedurre che solo il 20% della popolazione italiana ha gli strumenti per orientarsi in una società contemporanea. Dobbiamo tenerne conto quando parliamo in pubblico, quando scriviamo o se abbiamo una qualche reponsabilità pubblica. In questa classifica l’Italia è seguita dalla Sierra Leone”.

Da segnalare quattro defezioni nella sessione pomeridiana di diversi parlamentari che avevano annunciato la loro presenza. All’appuntamento “Internet nelle proposte della politica” sono intervenuti solo il senatore Lucio Malan (Pdl) e il senatore Vincenzo Vita (Pd) moderati da Guido Scorza, professore di Diritto dell’informatica.

Un segno della scarsità di interesse verso gli importanti temi in programma o forse semplicemente di ignoranza. Fatto sta che il numero dei relatori è stato utile solo al rispetto della par condicio, non certo a far scaturire un dibattito ricco e plurale.