Il sistema scolastico riveste un ruolo particolare all’interno della pubblica amministrazione. Impiega un terzo dei dipendenti pubblici e, sarà per le funzioni sociali che svolge, sarà perché il rapporto discente-docente non pare essere riconducibile ad un rapporto amministrativo burocratico, viene considerata… sui generis. Comunque la scuola è una pubblica amministrazione regolata da leggi, regolamenti e circolari che sta vivendo una fase di profonda trasformazione mediante l’attuazione della politica dell’autonomia.

Non mi riferisco alla “buona scuola”, ma alla normativa attualmente in vigore, che è il frutto di tre ordini di fattori: il convincimento che, attraverso un’organizzazione autonoma delle proprie attività, le scuole possano essere più efficaci nel costruire processi di apprendimento; il decentramento politico amministrativo come unica soluzione ottimale in tutta la pubblica amministrazione; l’esigenza di aprire la scuola al mondo esterno, affinché si integri con le esigenze culturali ed economiche del proprio territorio.

Alle scuole italiane è stata attribuita autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, chiamandole ad interagire con un sistema di organi collegiali pensati per un contesto completamente diverso e precedente, che tuttavia rimane attivo allo scopo di evitare il blocco dei processi decisionali. Il ministero continua a svolgere attività di gestione e non solo di indirizzo e controllo. Così pure dal punto di vista organizzativo ha mantenuto la sua articolazione periferica, che pare decisamente contraddittoria rispetto al decentramento di funzioni e responsabilità.

Il consiglio di istituto, che dovrebbe essere una specie di Consiglio di amministrazione, approva il Pof (Piano di Offerta Formativa), un documento che contiene la programmazione di tutte le attività che la scuola vorrà porre in essere. Il collegio docenti responsabile ha potere decisionale in materia di funzionamento didattico ed elabora il Pof, che diviene l’espressione dell’autonomia didattica. È evidente che questa potenzialità ha punti deboli nella mancanza di una leadership adeguata (il famoso Dirigente) e di una forte condivisione da parte di tutti gli attori (insegnanti, famiglie, studenti…).

Aspirazione dell’assetto istituzionale della scuola è quella di cercare di governare meglio il sistema e rendere le istituzioni scolastiche più efficaci, efficienti e socialmente eque. Risultati ad oggi: i dati sulle comparazioni internazionali dell’apprendimento appaiono negativi; l’innovazione curriculare è risultata assai limitata; i metodi didattici sono rimasti invariati. Insomma: il nuovo disegno istituzionale non è stato applicato se non in rare eccezioni.

Di chi è la colpa? Domanda da 100 punti: nessun responsabile. I nostri dirigenti sono tutti bravi, come pure tutti i nostri insegnanti, per non parlare del Mise. Nessuno è responsabile! Ed il bello è che non si deve far nulla, anzi, guai a cambiare le cose: si scatena il finimondo.

Alla fine la “Buona Scuola” non è altro che l’attuazione della vecchia Scuola. Sperando che, qualunque sia il risultato, potremo almeno dire chi è il responsabile. Domanda che oggi non ha una risposta.

Sarà l’Autonomia tanto ricercata ad aiutarci a dare la risposta. Le scuole (leggasi “Dirigente”), potranno indicare allo Stato il fabbisogno di docenti e strumenti per attuare i loro Piani dell’offerta formativa. I Piani diventano triennali e vengono elaborati con la partecipazione di tutte le componenti della scuola: il Piano è elaborato dal Collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi definiti dal dirigente scolastico, ed è poi approvato dal Consiglio di circolo o d’Istituto dove sono presenti anche le famiglie e, alle superiori, gli studenti.

I presidi diventano leader educativi: meno burocrazia e più attenzione all’organizzazione della vita scolastica. Dovranno essere i promotori del Piano dell’offerta formativa della propria scuola, che viene poi elaborato dagli organi collegiali. I dirigenti avranno la possibilità di mettere in campo la loro squadra individuando, sui posti che si liberano ogni anno, i docenti più adatti, per curriculum ed esperienza fatta, per realizzare il progetto formativo della loro scuola. La scelta dei docenti da parte dei presidi avviene all’interno di ambiti territoriali.

È lo Stato e non il dirigente scolastico ad assumere gli insegnanti, che entreranno solo per concorso pubblico. Solo dopo l’assunzione i docenti vengono individuati dalle scuole sulla base dell’offerta che vogliono garantire agli studenti. Le operazioni avverranno in modo trasparente: i presidi renderanno pubbliche, attraverso il sito della loro scuola, tutte le informazioni relative agli incarichi conferiti. Il loro operato sarà sottoposto a valutazione, una valutazione che influirà anche sulla loro retribuzione aggiuntiva.

Senza entrare nei dettagli direi che non c’è molta differenza nelle intenzioni, tra la scuola e la “Buona scuola”. Potremmo dire che “un cambiamento predicato, oggi dovrebbe essere praticato”. Soprattutto mi sembra che la parolina fondamentale sia “Responsabilità”, cioè “capacità di rispondere”, nel bene e nel male; responsabilità che con la riforma si potrà individuare, eliminando gli alibi (in gran parte per i dirigenti) ma soprattutto dando i mezzi ai dirigenti per raggiungere quegli obiettivi formativi, tanto auspicati da tutti, che riguardano i nostri ragazzi.

L’autore dell’articolo, Tonino Capriotti, è esponente del Pd di San Benedetto