ASCOLI PICENO – Lo incontriamo per un caffè in una freddissima mattina di gennaio, ma i suoi scatti e il suo entusiasmo scaldano immediatamente l’atmosfera. Un ragazzo come tanti, apparentemente timido, ma con l’occhio che brilla quando parla del suo lavoro.

Nasce a Madrid trentasette anni fa. Dopo gli studi classici e un intervallo nella Sociologia, frequenta l’Istituto Europeo di Design. Una lunga gavetta lo ha fatto arrivare a collaborare con l’agenzia Grazia Neri e alcuni suoi lavori sono stati esposti al Festival Internazionale di Fotoreportage di Roma. Attualmente collabora come freelance con diverse testate nazionali e internazionali.

Da Madrid ad Ascoli, a cosa è dovuta la scelta del capoluogo piceno come città dove vivere? La scelta non è dipesa da me, io sono nato a Madrid e li ho vissuto fino all’età di nove  anni,  mio padre (Eugenio Coccia, noto giornalista e direttore della televisione locale TVA), è stato il primo blogtrotters marchigiano, partito a diciassette anni in autostop alle volte di Londra, dove ha conosciuto mia madre, madrilena. I geni del viaggiatore insomma, ce l’ho nel DNA“.

Come nasce la tua passione per la fotografia? “La mia è una storia semplice, una delle tante storie di ragazzi che iniziano per gioco e decidono di rendere la loro passione un mestiere. In qualche modo la malattia di mio padre  mi ha avvicinato all’obiettivo, è stato un mio modo di stargli più vicino e di scaricare le tensioni che si accumulavano durante quel duro periodo. Nel 1998 poi èarrivata la decisione definitiva di lasciare gli studi (sociologia) e iscrivermi all’ Istituto Europeo di Design”.

Parlami della mostra al Forte Malatesta: rappresenti Ascoli sottolineando la vicinanza con il travertino, da cosa è nata l’idea? “Tutto è partito da un lavoro che il comune di Ascoli, nella persona del professor Stefano Papetti , mi ha commissionato due anni  fa per dare una mia interpretazione artistica della città, che rappresentasse in un libro la candidatura picena a “patrimonio dell’Unesco”. La visione che si voleva dare però era quella dal punto di vista del travertino, della città “viva”, quindi non le classiche immagini di repertorio. E’ nato il desiderio di rendere il lavoro di pubblico dominio, ed è stato fondamentale l’incontro con Flavio Andreoli Bonazzi, amministratore delegato della Hydrowatt, che conosce e colleziona i miei lavori, che ha reso possibile, finanziando in toto il progetto, l’esposizione attuale nello splendido scenario del Forte Malatesta”.

Non siamo riusciti a rientrare nel riconoscimento Unesco: cosa aggiungeresti se avessi la possibilità di “ritoccare” la città? “Probabilmente il travertino è un elemento forte, ma non unico, avrei cercato di puntare l’obiettivo su altro, magari più caratterizzante, anche se adesso non saprei darti una valida alternativa”.

E se potessi “ritoccare”, a livello umano, cosa aggiungeresti alla nostra città? “Ciò che rimprovero un pò agli ascolani è che non riescono ad aprirsi in toto, hanno sempre una sorta di timore  o diffidenza ad esempio, nel dare un giudizio positivo o negativo per chi fa qualcosa, spesso rimane più semplice criticare in maniera sterile. Io, ad esempio apprezzo molto nel mio lavoro chi mi fa una critica, perchè è un momento di confronto”.

La tua biografia vanta una collaborazione con Grazia Neri, la prima agenzia fotografica italiana, ora in liquidazione. In merito alla crisi che ha investito la società nel 2009, il figlio Michele Neri ha dichiarato che “il fotogiornalismo di qualità è stato sostituito da immagini di repertorio o di bassa qualità trovate sul web“. Ti trovi d’accordo con questa affermazione? “Sono assolutamente d’accordo. Purtroppo il reportage d’autore come era visto una volta non si fa più. Oggi avere una testata che commissiona un reportage è molto difficile, molto più usuale invece è la prassi per cui l’agenzia vende alla testata un insieme di immagini, dalle quali poi si ricava l’articolo”.

Si fa un percorso al contrario, mi vuoi dire? “Esattamente. Si parte dalle immagini e si costruisce una storia intorno. Ovvio che tali decisioni dipendono anche da testata a testata. Ma spesso accade così, e tutto ciò va a penalizzare il lavoro di chi sceglie il fotogiornalismo come professione. Ma io sono ottimista e aggiungo che, a mio parere, ci sarà una rivincita della qualità e dell’impegno”.

Rappresenti la Regione Marche per “Voices from Italy “: mi spieghi di cosa si tratta? “E’ un progetto già partito in altre nazioni europee, seguito dalla Micro Photographes, ossia una commissione di nomi nazionali della fotografia, che ha scelto ventuno rappresentanti, uno per regione, al quale sono stati affidati sei temi  da seguire (people, habitat, work, landscape, common place, the italian miracle) per raccontare il proprio territorio, seguendo una logica non di immagini banali, ma che raccontino l’Italia del 2011. E’ un progetto  work in progress, per il quale non posso aggiungere altro, ma sicuramente ne sentirete parlare a breve”.

Hai fotografato Ascoli quasi interamente in bianco e nero: scelta dovuta o imposta? “Il bianco e nero lo uso tutte le volte che faccio progetti miei personali, che non  siano prettamente editoriali, perchè la ritengo una tecnica con cui riesco ad esprimere molto di più ciò che voglio e sento”.

Quindi il colore è più commerciale? “Si e no. Nel caso delle immagini relative alla Festa Bella di Spelonga, ad esempio,  il nome stesso dice tutto, dovevo rendere un’idea “colorata”, non potevo spegnere la predominanza del rosso delle casacche, i colori, le luci della montagna e della natura circostante. Inoltre quel lavoro l’ho fatto in previsione di una  futura pubblicazione. Se avessi usato il bianco e nero le immagini avrebbero avuto comunque la stessa forza, ma sarebbero state meno “fruibili”: il colore infatti aiuta l’accesso al lettore, rende la comprensione dell’immagine immediata, emozionale, forse anche più superficiale, ma sicuramente  più diretta”.

Un consiglio vuole fare il lavoro di fotoreporter: “Confrontarsi il più possibile perchè è la maniera più veloce e sicura per crescere. Inoltre consiglio di credere fino in fondo in ciò che si fa, anche se costa molto sacrificio, di studiare e documentarsi, ma soprattutto darsi delle scadenze, non pensare cioè che c’è un tempo infinito per  fare questo mestiere. E’ inutile e pericoloso intestardirsi se non si raggiungono certi risultati”.

Qualche anticipazione sui progetti futuri: “A primavera autofinanzierò un progetto sul tema della guerra civile spagnola, che voglio raccontare  dalla parte del regime franchista per una motivazione, e cioè che in Spagna c’è attualmente una campagna di menzogna su ciò che è realmente accaduto. So che è un progetto ambizioso e sicuramente controcorrente, ma appunto per questo lo vivo come sfida”.

La mostra di Ignacio resterà in esposizione fino al 15 febbraio al Forte Malatesta. Per info e biglietti http://www.ascolimusei.it/