SAN BENEDETTO – Andrà in scena, in prima visione assoluta, martedì 29 aprile, alle ore 21,15, al teatro Concordia di San Benedetto, “L’erede – Gli ultimi giorni di Puccini“. L’evento, che gode del patrocinio dell’Amat, della Rete Lirica delle Marche e del comune di San Benedetto, è il terzo Atto del Festival Puccini 2024-2025Prima di questa aurora”, ideato e realizzato a cura dell’associazione VisionAria.

Lo spettacolo, prima e unica pièce teatrale scritta sulla figura del grande compositore toscano, unisce teatro e canto, storia e fiction e racconta gli ultimi ventidue giorni di vita del Maestro, ricoverato nel novembre 1924 in una clinica di Bruxelles per sottoporsi a cure sperimentali che, purtroppo, non riusciranno a salvarlo. La sua ultima opera,  infatti, la “Turandot”, rimarrà incompiuta. Accanto a lui, in questi giorni intensi, ci sono due donne: la figlia Fosca e Maria, infermiera e cantante. Il personaggio di Maria sarà interpretato dal soprano Melissa D’Ottavi, quello di Fosca da Roberta Vulpiani. Al pianoforte, per la prima volta anche in veste di attore, ci sarà il maestro Italo Bruni. Il ruolo di Giacomo Puccini verrà portato in scena da Francesco Tranquilli, ideatore e autore della pièce e anche regista dello spettacolo. Lo abbiamo intervistato.

1) Come quando e perché è nata l’idea di scrivere un’opera teatrale su Puccini?

Francesco Tranquilli: “La mia passione per l’opera lirica è nata da quando avevo dodici anni e mi portarono allo Sferisterio di Macerata. Sono quello che viene definito, con termine vagamente spregiativo, un “melomane”. Poi, nel maggio 2024 – quando già in tutto il mondo erano iniziate le celebrazioni pucciniane – mi hanno proposto di fare un incontro con gli studenti del Conservatorio “Braga” di Teramo, e ho messo a frutto tanti anni di competenza preparando una conferenza musicale/teatrale sulle “Piccole donne di Puccini”. I personaggi in apparenza deboli ma in realtà – fin dalla sua prima opera – più risoluti e interessanti dei ruoli maschili. L’idea dell’Erede, dell’incontro – immaginario ma verosimile – fra il Maestro malato e un’infermiera/cantante (Maria), mi è venuta un mese dopo, all’improvviso, mentre ero alla guida. Ho accostato e ho registrato l’intero soggetto sul telefono, a voce. Ho ancora il file salvato. La mia testa spesso funziona così”.

2) Quanto lavoro di ricerca e di documentazione c’è dietro e quanto è stata impegnativa la stesura di quest’opera?

F. T. “Ho passato il mese di luglio a leggere tutte le monografie e gli articoli su Puccini che avevo e quelli che ho potuto reperire in rete (non pochi, come si può immaginare), in italiano, inglese, francese e spagnolo. Mi sono anche procurato alcune opere fuori commercio che potevano magari darmi spunti per arricchire il copione. Il libro più importante per la stesura è stato Puccini among friends di Victor Seligman, il figlio di Sybil, la più grande amica del Maestro. È stata un’immersione totale e un (ri)innamoramento continuo. Non direi una scoperta, perché che Puccini fosse un drammaturgo musicale geniale e un compositore modernissimo lo sapevo già, e lo sanno tutti. Ho anche rivisto lo sceneggiato RAI del 1973 con Alberto Lionello, stupendo, e quello del 2009 (inguardabile). Poi è iniziata la stesura vera e propria (come riporta il copione di scena), dall’1 al 24 agosto 2024“.

3) Quanto c’è di vero e quanto di immaginario in quello che hai scritto?

F. T. “Il personaggio di Maria, l’infermiera che studia canto e che diventa l’“erede” ideale del Maestro nei suoi ultimi giorni, è chiaramente inventato, come il “Postino di Neruda” immaginato da Skármeta e portato al cinema da Massimo Troisi. Tutto il resto, dalla scansione dei giorni fino ai riferimenti autobiografici e musicali inseriti nei dialoghi, è preciso e documentato. Soprattutto l’avvilimento di Puccini per non avere più le forze e le idee per completare Turandot è “drammaticamente” autentico. In una scena fondamentale dello spettacolo mi sono immaginato che il Maestro riesca a trovare una nuova idea musicale per il finale della sua ultima opera, e che il pubblico, per alcuni secondi, possa sentire questa melodia. Ma troppo tardi. Di più non posso raccontare. Bisogna esserci”.

4) Che cosa significa e rappresenta per te impersonare il Maestro Puccini?

F. T. “Intanto, dopo tanti anni di teatro, è la prima volta che interpreto un personaggio “storico”. È molto complesso, sia psicologicamente sia scenicamente. Mi sono “divertito” a parlare con la voce bruciata dalla malattia e dalle cure, e con accento lucchese (verificato con un lucchese doc…). Poi, lavorandoci, come sempre succede, ho capito che quando si “entra” in un personaggio (come si dice in gergo), in realtà non facciamo che scoprire alcune parti di noi, nascoste o inconfessate, attraverso le parole di un altro. Il teatro funziona così. Molte battute, nel ruolo che interpreto, le pronuncia “Puccini” ma le sento profondamente mie. Per fortuna nessuno sa quali sono. Il difficile è stato trovare una cantante d’opera giovane che accettasse la sfida di affrontare un ruolo “misto”, da soprano e da attrice di prosa. Poi ho incontrato Melissa D’Ottavi. Sarà una sorpresa anche per chi già la conosce. Come lo saranno Roberta Vulpiani, al suo debutto scenico nel ruolo di Fosca Gemignani, e Italo Bruni, pianista raffinatissimo, che recita nella parte (più o meno…) di se stesso”.

5) Come esperto e appassionato di opera lirica – tra l’altro nei tuoi spettacoli, come in questo, non manca la parte cantata – che cosa ha di speciale, secondo te, la lirica come forma d’arte rispetto alle altre?

F. T. “L’opera lirica è nata a Firenze alla fine del 1500 e nel 2023 è stata inserita nel Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO. E ancora oggi, in tutto il mondo, si scrivono opere nuove e si rappresentano quelle di repertorio. Non esiste una forma di spettacolo più completa e articolata. Non a caso, i tre operisti più rappresentati al mondo (parlano le statistiche) sono anche i tre maggiori “drammaturghi” musicali: Verdi, Mozart e, appunto, Puccini. Autori per cui ogni nota è musica e teatro insieme. Quando è ben realizzata, l’opera lirica è – a mio avviso – il genere di teatro musicale più ricco di emozioni. E, come dice Maria nel primo atto, “le emozioni sono il farmaco più efficace. Chi le prova, si attacca di più alla vita”. Tante volte ho accompagnato all’opera persone al loro battesimo, non “del fuoco” ma “del canto”, persone che non avevano idea di che cosa fosse un’opera. Nessuna si è mai annoiata. Alla fine, avevano tutte gli occhi che brillavano. Figuratevi il cuore”.

 

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