Da Riviera Oggi Estate n. 1038

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Una volta per allenare in serie A dovevi fare elementari, medie, liceo e università. Adesso basta vincere il torneo del Rione per finire in una grande squadra”.

Si percepisce un filo di amarezza nelle parole di Nedo Sonetti, uno che le ossa se le è fatte partendo dal Viareggio in serie D, nel 1974. La massima categoria l’avrebbe raggiunta solo dieci anni dopo, con tre promozioni all’attivo, tra cui quella decisiva con l’Atalanta.

Nel mezzo, un’altra impresa col Cosenza in C2 e il triennio magico alla Sambenedettese dove agli inizi degli anni Ottanta collezionò un salto in serie B e due storici ottavi posti in cadetteria: “Le esperienze vittoriose sono tutte esaltanti, compreso quindi il periodo alla Samb”.

In Riviera, Sonetti svezzò un giovanissimo Walter Zenga e guidò alla definitiva maturità Gigi Cagni. Un’accoppiata che oggi si ricompone sulla panchina della Sampdoria. “Di loro ho ricordi piacevoli – dice – mi hanno dato tanto. Sono contento che si siano ritrovati in blucerchiato. Zenga era un ragazzotto molto vivace che aveva un sacco di idee per la testa. Era un po’ mattocchio, ma pian piano riuscì ad entrare in sintonia con l’universo dei professionisti. Gigi era invece più serio e ponderato. Tra loro c’era una differenza d’età di dieci anni. Cagni ha dimostrato sempre serietà, da calciatore e allenatore. Se hanno deciso di lavorare assieme vuol dire che hanno ragionato bene su questa opportunità. La fortuna di questo rapporto dipenderà dalla loro intelligenza”.

Classe 1941, Sonetti ha girovagato in lungo e in largo per l’Italia. Detto “il Caronte di Piombino” per la sua capacità di subentrare in corsa e risollevare squadre in difficoltà, il mister toscano non mostra apprezzamento per il suo soprannome: “Gli appellativi li danno i giornalisti – ribatte – ho vinto tanto anche partendo dall’inizio”.
In effetti, i trionfi sono arrivati pure all’Udinese (1989), all’Ascoli (1991), al Lecce (1999) e l’anno seguente al Brescia. “Ad Ascoli arrivai ad agosto, nel pieno della preparazione – puntualizza – quando Graziani venne esonerato non aveva disputato nemmeno una partita di campionato”.

Decisamente meno positiva l’avventura col terzo club marchigiano: l’Ancona. Nel 2003-2004 prese prima il posto di Leonardo Menichini per poi lasciare a Giovanni Galeone alla fine di gennaio. “Mi feci abbindolare da certi personaggi – afferma Sonetti – fu un’annata sbagliata, ma sempre esperienza è”. Così come nel 2010 a Vicenza, ultimo club della sua lunghissima carriera: “Quella parentesi nemmeno la considero, ci sono stato per due mesi, fu una scampagnata. L’ultima vera squadra è stata il Brescia. Tutte le panchine sono complicate, se subentri è ancora più difficile. Occorrono sensibilità e intelligenza”.

Nel 1986 Ernesto Pellegrini lo contattò per affidargli l’Inter, ma la decisione di Trapattoni di liberarsi dalla Juventus fece saltare tutto: “Mi trovai davvero vicino alla firma, fu quella la volta in cui sfiorai una grande squadra”. Si sarebbe trattato del giusto riconoscimento dopo la lunga gavetta, a differenza di quello che accade oggi: “Si prendono ragazzi e si fanno allenare, l’ultimo campionato ne è testimone. Ci vorrebbe maggiore esperienza e l’esperienza si fa allenando. Gli allenatori di C sanno di calcio quanto quelli di serie A. Ma per arrivare in alto ci vuole la personalità”.