Dal numero 1005 di Riviera Oggi, in edicola.
D’accordo, effettivamente non se ne può più del termine “renziano”. Denota assenza di personalità e di autonomia intellettuale. Il leader parla, il seguace incamera, per poi tuffarsi sui social e diffondere il verbo. Ma in fondo, se negli anni sono esistiti – ed esistono ancora – il “dalemiano”, il “bersaniano”, il “berlusconiano”, “il grillino”, il “vendoliano” ed il “dipietrista”, perché farci mancare l’ultima creatura?
In questo caso però occorre una distinzione. C’è il renziano della prima ora, quello della buon’ora e quello dell’ultimissima ora. Nessuno di loro ha più meriti degli altri, tuttavia l’etichetta è necessaria per distinguere ed isolare l’opportunismo politico.
Nel 2012, quando i sostenitori del rottamatore vennero addirittura respinti ai seggi, Matteo Renzi veniva visto come un interista in curva sud durante il derby. Poi Bersani perse le elezioni (qualcuno dovrebbe finalmente confessarglielo) e il vento è improvvisamente cambiato.
Il carro dei renziani a quel punto si è riempito, caricando chiunque. Compresi i folgorati sulla via di Damasco, intenzionati a ricollocarsi in vista di congressi ed elezioni.
Tra loro spiccano storici fan di D’Alema e Bersani. Proprio i due mastini irriducibili che stanno mettendo i bastoni tra le ruote a Renzi nell’ambito del dibattito sull’articolo 18. Qualora il Governo di Matteo cadesse per opera della vecchia guardia, sarà curioso e divertente osservare il loro atteggiamento. Riusciranno allo scoperto o manterranno la maschera?
Abbiamo già comprato i pop-corn.
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