SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Villa Petrocchi va ricostruita. Il procedimento è stato avviato dalla Sovrintendenza per i Beni Architettonici delle Marche, che si è avvalsa dell’articolo 160 del decreto legislativo 42 del 2004. La decisione è stata comunicata ai proprietari dell’immobile ed il costo è stato stimato in circa 150 mila euro.

Il 23 aprile i Carabinieri del nucleo di Ancona bloccarono il cantiere sul lungomare nord, dove stavano partendo i lavori per la trasformazione dell’edificio in una nuova struttura chiamata ad ospitare appartamenti.

Il decreto di vincolo, firmato dalla stessa Sovrintendenza il 7 aprile, giunse in Comune otto giorni dopo. Dal canto suo, la famiglia Petrocchi ha sempre affermato di aver inaugurato la ristrutturazione alla prima data utile, una volta scaduti i quattro mesi (che si aggiungevano ad ulteriori quattro) richiesti da Ancona per la valutazione del manufatto.

La Soprintendenza ha dato atto che il Comune di San Benedetto, pur avendo ricevuto il provvedimento impositivo del vincolo, non ha però provveduto alla notifica dello stesso entro il 22 aprile – tuonano Marco e Tiziana Egidi – bensì solo il 24, cioè due giorni dopo lo scadere del centoventesimo giorno”.

Il sovrintendente Stefano Gizzi ha tuttavia fatto notare che al termine del periodo previsto le ruspe erano già sul posto per la demolizione, ancor prima dell’apertura degli uffici comunali e quindi prima della comunicazione di ripresa dei lavori.

“Ribadiamo – proseguono i padroni del villino – che del tutto legittimamente nella prima mattinata del 23 aprile sono stati ripresi i lavori di demolizione già iniziati a settembre 2013 e che, solo operando una arbitraria ed illegittima forzatura, la signora Petrocchi può essere ritenuta responsabile del danneggiamento del bene tutelato e, tantomeno, può essere destinataria di una qualsiasi sanzione”.

La ristrutturazione del bene viene giudicata possibile dalla Sovrintendenza, in quanto demolito al 50%. In tal senso, si potrà ricostruire in maniera fedele la porzione buttata giù, mediante il recupero parziale del materiale originale presente sul posto.

Gizzi dimostra di non avere alcuna esatta cognizione di cosa prescrivano le norme vigenti in materia di costruzioni in zone sismiche, né ha minimamente rilevato l’esatta situazione dei luoghi. Diversamente, avrebbe avuto ben chiaro che il materiale lì presente non è nemmeno in minima parte riutilizzabile e che la porzione dell’immobile non ancora demolita, per le forti sollecitazioni subite in sede demolizione, é ormai stonata, come dicono i tecnici del settore, e va anch’essa solo demolita e ricostruita. Altrettanto errata per difetto è infine la valutazione prevista per la ricostruzione, risultante al contrario non inferiore a 600 mila euro. Precisato ciò siamo a rappresentare che la demolizione effettuata ha di fatto ormai azzerato il rilevante valore dell’immobile e che plurimi sono i danni sino ad oggi occorsi, superiori ai 2 milioni di euro, che la Soprintendenza Marche sarà da noi chiamata a rifondere integralmente”.