SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Whiskey in mano e sigaretta in bocca, si presenta così Roberto Dell’Era, stravagante bassista degli Afterhours, ieri sera in concerto con The Judas allo chalet Kontiki.

Inglese d’adozione, Dell’Era vanta collaborazioni con diversi artisti della scena indie tra cui Dente e Calibro 35 e lo scorso ottobre è uscito il suo primo album ufficiale Colonna sonora originale, grande successo di critica.

Da Ami Lei o Ami Me a Il motivo di Sima, viaggio emozionale verso la donna amata in Thailandia, la sua musica appassiona il popolo indie e non solo con sonorità a tratti british a tratti vintage anni sessanta.

Quale film vorresti fosse accompagnato dalla tua Colonna Sonora Originale?

Sicuramente un film in cui c’è di mezzo un viaggio perché sia reale che onirico, sia nella musicalità che nella mia testa, lo spostamento è continuo e caratterizza il mio disco e la mia vita, anche perché in tour con gli Afterhours viaggio parecchio.

Affidarsi a un’etichetta discografica minore, la Martelabel, è stata effettivamente una scelta o in realtà non ti è stato offerto l’appoggio di una major?

No, effettivamente le major non sono mai state più di tanto interessate al mio progetto e comunque per come sono fatto io non funzionerebbe perché non sono molto inclini a sviluppare un progetto, ti producono due singoli di forte visibilità e se poi non funzionano ti mollano mentre la Martelabel mi piace particolarmente perché rispetta sempre la mia visione delle cose. Poi certo se avessi ricevuto un’offerta da un milione di dollari da una major non nego che avrei accettato, nessuno snobismo, ma quelle sono multinazionali che lavorano sul profitto per cui naturalmente si dirigono verso mondi musicali, come quelli legati ai talent show televisivi, che hanno la possibilità in divenire di produrre denaro.

La tua musica in cosa si differenzia da quella degli Afterhours?

La mia musica non è lontanissima da quella degli Afterhours e allo stesso tempo è completamente diversa; è un progetto distinto perché il mio è un lavoro fatto quasi totalmente da me, dagli arrangiamenti al testo, con l’aiuto dei miei collaboratori che sono anche i miei amici, mentre quello degli Afterhours è un lavoro corale in cui tutti abbiamo scritto e contribuito, mettendo insieme delle idee; musicalmente non siamo molto diversi: è sempre rock and roll ma con delle ossessioni differenti perché Manuel Agnelli ha il chiodo fisso di evitare delle strutture di scrittura di classic rock, di evitare lo stucchevole a tutti i costi e in generale tutto ciò che assomiglia a qualcosa di già esistente, sia un ritmo, un tono vocale o un suono di batteria, mentre io sono cresciuto a pane e classic rock per cui non ho questo bisogno di essere alternativo a tutti costi.

Che rapporto hai con Manuel Agnelli?

È una domanda personale questa… Diciamo che i rapporti nelle band hanno dei cicli molto lunghi; ho conosciuto Manuel ad una cena a casa di una mia amica, dopo 10 anni passati all’estero, e dopo aver ascoltato il mio demo mi ha chiesto di unirmi a loro. Nella band c’è tutta gente molto seria e credibile, dominata dal buon senso, sia in campo artistico che nel privato; ora dopo un lungo ciclo ci troviamo ad essere personalità molto diverse e magari relativamente in competizione, una competizione sana però, ma andiamo molto d’accordo. Io sono quello che in generale tende a litigare un po’ con tutti: alla mia età non ho ancora capito che un certo tipo di diplomazia serve ed è molto utile; purtroppo io non ce l’ho per cui litigo per qualsiasi cosa.

C’è differenza tra il rock and roll anglosassone e quello italiano?

Non è tanto diverso, è chiaro che parliamo di paesi culturalmente distinti; fondamentalmente il rock ha attecchito maggiormente in Inghilterra e negli Stati Uniti per ragioni culturali e linguistiche e poi, cosa orribile da dire, la verità è che l’Italia non è un paese di rock and roll, non lo è mai stato.

E allora gli Afterhours che fine fanno?

Gli Afterhours sono una creazione geniale di Manuel Agnelli, estremo talento lirico e gran lavoratore, che ha messo in piedi una cosa che funziona, una mosca bianca in Italia dove, a differenza dell’Inghilterra in cui l’artista influisce sui giovani e sul tessuto culturale, non c’è nessuno almeno da 25 anni che riesce ad influenzare il gusto delle cose. A parte forse Vasco che però ormai…

C’è una “Sima” nella tua vita?

Una di quelle lì credo ci sia solo una volta nella vita; ora non c’è – meno male – e non so se ci sarà. So che quell’esperienza ha fatto da spartiacque nella mia vita emozionale: invece di subire a 15 o 20 anni questo trauma, bello o brutto che sia, che ti cambia la vita, io l’ho avuto a 35 anni; è stata un’esperienza molto interessante, ho imparato un sacco di cose completamente inutili; non credo che l’essere umano sia pronto ad assorbire e capire le cose, cerca solo di applicare qualsiasi logica a se stesso che sia il più funzionale possibile e a dirsi che tutto ha una ragione. Diciamo che “Sima” non c’è adesso o meglio c’è ma come ormai personaggio immaginario della mia vita.