
SAN BENEDETTO – Mai vista una cosa simile, nonostante ben tre promozioni dalla Serie C al campionato cadetto, dove abbiamo giocato ben 21 volte. La società rossoblù del presidente Massi ha saputo risvegliare nella città un amore nato molto lontano nel tempo, da quando, cioè, salì per la prima volta insieme al Venezia in un girone unico di Serie C. Da lì, una passione tramandata di generazione in generazione, dai bisnonni ai pronipoti.
C’erano tempi in cui, tra il 1956 e il 1963, la città capiva che la Samb non aveva segnato perché non si era sentito, ovunque, il boato del gol. Quando, tra i miei dodici e sedici anni, mia madre mi diceva in sambenedettese, quello vero: “Uie securamènte nen scète vènte.” Quando, dal 1970 in poi, il padre del mio amico e super tifoso Paolini, in arte “Lubècce”, mi chiedeva — mentre passavo d’estate sotto il suo balcone —: “Zarè, lu facce l’abbunamènte quest’anne?”, ritenendomi un esperto, in quanto giornalista. La mia risposta era sempre: sì. Allora come oggi.
Un patrimonio, quello della nostra tifoseria, che non va disperso (come purtroppo è già successo), e che impone idee chiare e tanta umiltà. Anche perché finora è tornato il Popolo (con la P maiuscola), nonostante fossimo risaliti non dal Purgatorio (la Serie C), ma dall’Inferno (la Serie D).
In questi casi, o si hanno tanti soldi e si punta subito a un altro salto di categoria (come Sassuolo o Chievo, per esempio), oppure si procede un passo alla volta, come fecero nei primi anni ’50 (fino al 1955) il presidente Domenico Roncarolo, il diesse e factotum Lucio Palestini e altri ispirati pionieri, creando una base di squadra sempre più solida. Altrimenti — e mi dispiace dirlo — resta solo un’operazione mediatica, che non basta per vincere i campionati, purtroppo. Oggi il calcio è tutto basato sul denaro, ed è quindi molto più difficile primeggiare rispetto a prima.
Continuo a credere che l’incredibile e ritrovato amore per la nostra Samb sia finalizzato al ritorno tra i cadetti, che resta la nostra categoria di appartenenza. Ma credo anche che, viste le vicissitudini degli ultimi 35 anni (con qualche momento alto poi disperso nel nulla), alla tifoseria basteranno, per qualche anno almeno, campionati tranquilli, senza il rischio di tornare all’Inferno.
Anche perché, per tornare in cadetteria, ci vollero 11 anni (dal 1963 al 1974), poi un solo anno, ma non saremmo retrocessi senza un torto subito dalla Samb nell’estate del 1979, quando una regola inventata sul momento permise al Taranto di restare in B, nonostante cinque punti di penalizzazione che non furono scontati nel campionato 1979-1980 appena concluso ma in quello dopo.
Gli altri campionati di Serie C, con Gaucci, Tormenti, Soldini, Fedeli e Serafino, non sono serviti per riportare la Sambenedettese al posto che le compete e che è stato alla base dell’attuale ritrovata grandissima passione.
Quindi: calma e sangue freddo. Investiamo con prudenza, fino a formare una squadra in grado di farci tornare a sognare. L’attuale organico può essere una buona base, con giovani da inserire gradualmente in prima squadra e qualche trentenne navigato di Serie C. Basta con le illusioni alla Botta, Maxi López e… ai vari serafini, perché tutti lo possono diventare.
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