SAN BENEDETTO – “Effetto del Trattamento Manipolativo Osteopatico sulla salute psicosomatica nei pazienti immigrati con monitoraggio dei parametri biomedici mediante fotopletismografia (PPG)è il titolo del lavoro condotto da Luca Marconi Sciarroni e Vanessa Osimi che hanno affrontato da un punto di vista osteopatico un tema così delicato e quanto mai attuale quale quello dei migranti e della loro particolare condizione spesso caratterizzata da disturbo da stress post traumatico.

Lo studio, promosso dall’Accademia Italiana di Osteopatia Tradizionale (AIOT) di Pescara e svolto in collaborazione con la Cooperativa sociale “On The Road” di San Benedetto, si è suddiviso in un T0 e un T1 durante i quali sono stati raccolti dati e analizzati i risultati sia del questionario SSS-8, (Somatic Symptom Scale) debitamente somministrato da Andrea Fiorilli, psicologo e psicoterapeuta, che della misurazione della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) mediante misurazione ottica non invasiva (PPG). Tali strumenti sono stati utili a rilevare il carico psicosomatico dei sette pazienti immigrati di età variabile dai 21 ai 38 anni, provenienti dalla Nigeria (1 persona), Pakistan (2 persone), Marocco (1 persona), Bangladesh (2 persone), Egitto (1 persona). Un gruppo, quindi, eterogeneo di persone per la provenienza, il sesso, l’età, alle quali tra il mese di Ottobre e Dicembre 2023, presso la sede di “On The Road” di San Benedetto, sono stati somministrati sette trattamenti manipolativi Osteopatici.

L’esito dello studio, il quale ha dimostrato un potenziale effetto della medicina osteopatica in questa categoria molto particolare di pazienti, è stato nel complesso molto positivo.

L’autore Luca Marconi Sciarroni spiega: “È fondamentale considerare il trauma emotivo e psicologico come un elemento disturbativo dello stato di salute delle persone che non ha meno valenza di quello metabolico o meramente neuro-muscolo-scheletrico. I sintomi riferiti da tali pazienti possono essere collegati ad alti livelli di interocezione afferente, dove maggiori livelli interocettivi rappresentano la base dei processi infiammatori. Molti studi suggeriscono che alcune condizioni post-migrazione come confini, cultura, lingua, luogo di accoglienza, possano essere elementi che aumenterebbero i disturbi da stress post traumatico. Questa condizione, quindi, porta ad una disregolazione del Sistema Nervoso Autonomo, a favore di un ortosimpaticotonia. Il trattamento manipolativo Osteopatico, agendo sulla regolazione del sistema nervoso autonomo, può essere un valido strumento per aiutare la salute di questi pazienti”.

Un lavoro originale, orientato ad analizzare dal punto di vista osteopatico, indagandone l’apporto in termini di qualità della vita, pazienti fortemente segnati da un punto di vista fisico e soprattutto emotivo. Abbiamo chiesto proprio a Luca Marconi Sciarroni il motivo di questa scelta e come sia nata l’idea di approcciarsi a questo specifico contesto con l’osteopatia.

Il lavoro svolto si accoda e porta avanti l’intuizione e lo studio di Matteo Pallottini, Osteopata D.O. che, in collaborazione con la Caritas di Pescara, tra maggio e luglio 2022 aveva avuto esito positivo nell’affiancare il trattamento manipolativo osteopatico ai disturbi psicosomatici dei pazienti immigrati con disturbo post traumatico da stress.

Luca racconta: “Nei mesi estivi dei miei anni da studente universitario ho avuto la fortuna di viaggiare molto alla ricerca di nuove culture, religioni, forme di medicina alternativa, incontrando ogni volta “paesaggi” nuovi ed esperienze di vita che mi hanno dato la possibilità di conoscere il mondo in maniera diretta. Fondamento di ogni viaggio era infatti l’incontro umano e, nell’altro, ho imparato (e sto imparando) a conoscere me stesso. In uno dei miei viaggi, carico dei ventiquattro anni che avevo, ho avuto la possibilità di visitare un campo profughi in Grecia, ad Atene, grazie ad un caro amico antropologo che, per motivi di ricerca, si ritrovava a vivere nella capitale Greca per alcuni mesi. All’interno del campo ho conosciuto famiglie intere costrette a vivere in condizioni disumane, stipate dentro dei container, con scarsa igiene, tensioni e aggressioni, conflitti interni, stupri, senso di precarietà costante, impossibilità di muoversi. Soltanto quelli sopravvissuti ad un’intera odissea erano lì, davanti ai nostri occhi, ad aspettare per mesi e magari anni, la possibilità di avere un colloquio con le autorità, al fine di ottenere i documenti necessari per entrare in Europa, e vedere così riguadagnata la tanto agognata libertà. Purtroppo, quello che arriva a noi più fortunati, è soltanto la punta dell’iceberg di una tremenda ed indescrivibile condizione umana, e spesso non ci avvediamo dei continenti sommersi, nascosti sotto il pelo dell’acqua, che giudichiamo senza conoscere, per il loro ingiustificabile ed imperdonabile peccato originale: essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato”.

Ancora: “Ricordo un’altra esperienza vissuta ad Erzurum in Turchia, dove insieme ad un mio amico incontrammo due migranti che ci chiesero l’elemosina alla stazione. Poiché uno dei due, che si chiamava Morteza, sapeva parlare italiano, iniziammo una conversazione confusa. Non ci fu modo di pensarci troppo che eravamo già tutti e quattro a fare pranzo in un ristorante non molto lontano. Ci raccontarono della loro vita, di un’infanzia felice, di studi, di università, di famiglie e amori, e poi, della guerra in Afghanistan, di dittature sanguinose, di soprusi, di libertà perdute. Per anni costretti a migrare, ad essere considerati e trattati come spazzatura da certi regimi e dai loro eserciti, a guardare il cielo di notte e sperare di rivedere il sole. “Le nostre vite valgono meno delle pecore qui”, ci diceva Morteza, che sognava una vita nuova dopo aver migrato per anni in Europa ed in Italia, la cara Italia di cui parlava con affetto e che avrebbe omaggiato aprendo un ristornate nella sua terra natia con il nome di “Bella Ciao”, canto partigiano che intonammo insieme per le strade della città a notte fatta. Potrei continuare a raccontare tante altre storie di ragazze e ragazzi della mia stessa età, di donne, uomini adulti o di bambini, conosciuti in India, in Marocco, in Messico o in Nepal, di cui per ognuno di loro si potrebbe scrivere un libro, realizzare film o una qualche serie Tv che tanto vanno di moda oggigiorno. Storie accumunate tutte dallo stesso filo conduttore, ovvero da un’indicibile sofferenza, dolore ed abbandono, al quale si contrappone una voglia altrettanto grande di vita e di speranza. Sono ragazze e ragazzi, segnati irrimediabilmente sulla pelle, nella mente e nell’anima, dalla cattiveria di altri uomini, le cui ferite chiedono cura, attenzione e rispetto. Non mi è stato difficile accostare ciò che per anni ha scandito le mie giornate di curiosità e studio, questa branca della medicina così affascinante, l’Osteopatia, all’aiuto degli ultimi, i “diversi”, gli emarginati. Così, ho colto l’occasione per poter aiutare chi più in difficoltà attraverso questa forma di medicina manuale, troppo spesso relegata ad un confine elitario e nascosta ai più, specialmente ai più bisognosi”.

 

L’Osteopatia si evince, dunque, che è un buon mezzo di aiuto per tanti e Luca ci ha spiegato com’è partita la sua idea di studio.

“Pensare l’osteopatia come strumento di sostegno e di prevenzione per la salute psicofisica del migrante è stata una grande sfida: si palesava davanti a me l’occasione di poter dare un senso ai tanti anni di studio. “Nulla per me che non sia per gli altri” diceva qualcuno, a ricordarci quanto quello che diamo all’altro ce lo stiamo dando, ciò che invece non diamo e tentiamo avidamente di tenere stretto al petto, lo perdiamo.
Inoltre, è evidente che il nostro sistema di cura, improntato rigidamente su una cultura occidentale, non può essere utilizzato per sostenere la salute di persone provenienti da altri contesti, lontani dalla nostra società per estrazione sociale, culturale, etnica e religiosa. In questo contesto, proprio per le difficoltà sopra menzionate, il corpo diventa ancor di più l’elemento chiave attraverso il quale il migrante entra in contatto con il mondo esterno. Spesso si sente parlare di “somatizzazione” quando un individuo sperimenta un livello variabile di sofferenza psichica attraverso sintomi fisici. L’Osteopatia, che si prefigge come scopo la ricerca della salute attraverso il corpo, risulta essere uno strumento utile per superare le barriere che ostacolano la salute del migrante. Da tali considerazioni nasce questo lavoro di tesi, che segue il progetto che l’Accademia Italiana di Osteopatia Tradizionale (AIOT) sta portando avanti nel territorio della Provincia di Pescara”.

 

È bello immaginare un maggiore interesse in futuro, anche da parte di altre figure sanitarie e da quelle che si prendono cura della persona, nonché da altre scuole di Osteopatia del nostro paese, affinché le nostre mani possano arrivare a portare aiuto a quante più persone possibili.
Perciò, con curiosità, abbiamo chiesto a Luca come è stata accolta la sua idea nel gruppo di studio.

“Devo affermare di aver ricevuto fin da subito fiducia, sostegno e appoggio da parte della mia scuola: l’Accademia Italiana di Osteopatia Tradizionale (AIOT) di Pescara e il suo dipartimento di ricerca. Per la realizzazione del progetto, oltre ad un tutor esperto, l’Accademia ha messo a disposizione uno strumento di misurazione diagnostica non invasiva, fotopletismografia (i suoi sensori vengono posti sulla punta delle dita), che permette di conoscere in pochi minuti la funzionalità del sistema nervoso autonomo. La cooperativa sociale On The Road di San Benedetto ha invece messo a disposizione gli spazi per lo svolgimento dei trattamenti, oltre alla disponibilità delle operatrici ed operatori per l’organizzazione degli appuntamenti. Credo che questo progetto abbia dato un senso profondo a quello che per anni abbiamo studiato sui libri e, non ultima, una crescita umana e professionale per tutti coloro che hanno partecipato.
Un ringraziamento ai professionisti che hanno contribuito alla realizzazione del progetto: Vanessa Osimi, Matteo Pallottini, Silvio Franchi, Andrea Fiorilli e tutti gli addetti ai lavori della cooperativa On The Road. Tutti uniti per un solo obiettivo che, con entusiasmo e riscossa, possiamo dire di aver raggiunto: aiutare e dare voce a chi ogni giorno viene visto dai nostri occhi miopi come un numero, un fantasma, un’ombra sfuggente sulla sabbia. Questo studio, oltre ad aver apportato un benessere psicofisico tramite i trattamenti manipolativi osteopatici, è risultato un utile mezzo per promuovere e aiutare l’integrazione dei migranti, soprattutto all’interno del mondo sanitario, dove spesso, il migrante, vive le più grandi difficoltà nel non riuscire a comunicare e trasmettere il proprio stato di salute”.