SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il nostro Codice Penale disciplina l’ipotesi in cui uno o più reati siano commessi parzialmente o, come nel caso in esame, integralmente all’estero (artt. 7-10 c.p.p.), prevedendo una serie di disposizioni specifiche per tipologia di reati, soggetti coinvolti e realizzazione della condotta.

La norma generale prevede che per poter richiedere di affrontare il processo penale in Italia, con tutti i vantaggi che ciò comporterebbe, la persona che ha commesso il reato deve necessariamente trovarsi nello Stato italiano nel momento dell’esercizio dell’azione penale e che i reati commessi all’estero risultino punibili sia dalla legge penale italiana che dall’ordinamento del luogo ove sono stati consumati.

Tuttavia, vi è da sottolineare che i ragazzi coinvolti nella vicenda, sebbene siano italiani, non sembrano essere tutti residenti in Italia, per cui, astrattamente, vi sarebbe anche questa criticità.

In ogni caso è opportuno approfondire lo strumento della c.d. estradizione attiva, ovvero la forma di cooperazione giudiziaria internazionale che permette l’eventuale richiesta da parte dell’Italia nei confronti di un altro Stato estero, sul cui territorio è presente l’estradando, di richiedere che il soggetto venga processato in Italia o, alternativamente, che l’eventuale esecuzione di una sentenza di condanna, o di altro provvedimento restrittivo della libertà avvenga in Italia. In tale procedura il ruolo del Ministro della Giustizia è fondamentale, potendo egli agire sia su richiesta del Procuratore Generale competente, sia di sua iniziativa.

Tuttavia l’estradizione è consentita solo se espressamente prevista dalle Convenzioni internazionali e, nel caso dell’India, l’unico accordo vigente è il cosiddetto “Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica dell’India sul trasferimento delle persone condannate” del 2012, alla luce del quale, solo una persona condannata nel territorio di uno degli Stati contraenti può essere trasferita nel territorio dell’altro Stato al fine di scontare la pena che le è stata inflitta. Tale trasferimento, inoltre, è possibile solo laddove siano rispettate le seguenti condizioni: la persona condannata sia cittadina dello Stato ricevente; la sentenza sia definitiva; lo Stato trasferente e lo Stato ricevente siano d’accordo; gli atti o le omissioni per i quali è stati inflitta la condanna costituiscano reato anche per la legge dello Stato ricevente o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio.

Alla luce dell’analisi degli istituti applicabili e della complessità della vicenda, anche in relazione alle poche informazioni ufficiali trapelate, sarà opportuno attendere la definizione delle accuse rivolte ai giovani italiani anche per comprendere meglio le possibili strategie difensive da adottare. La certezza di questa fase, invece, è che sarà fondamentale il ruolo del Consolato, in accordo con la Farnesina, affinché monitori e si faccia parte attiva per garantire le libertà fondamentali e diritti umani inalienabili dei ragazzi coinvolti.

Avv. Andrea Broglia e Avv. Massimiliano Galeazzi