Dall’apoteosi, all’apocalisse. In 8 mesi. E non raccontiamoci che il trionfo dell’11 luglio a Wembley fu solo un caso, né tantomeno che ieri sera è stata colpa della sfortuna. Intendere così il pallone sarebbe riduttivo, oltre che poco sensato.
Molto peggio di Ventura, incredibile a dirsi. La Svezia, era almeno tecnicamente superiore alla Macedonia del Nord, e nel girone di qualificazione ci eravamo piazzati dietro alla Spagna, non alla modestissima Svizzera, con tutto il rispetto per gli elvetici.
Due catastrofi tanto ingiustificabili quanto simili fra loro, legate dall’unico filo conduttore del “tanto siamo più forti, prima o poi la buttiamo dentro”. Risultato: zero gol fatti in 270 minuti di spareggi, in cui sarebbe dovuto venir fuori lo “spirto guerriero” o quantomeno un po’ di sana cattiveria.
Invece niente, nemmeno un ammonito. Non che per vincere occorra essere fallosi o scorretti, ma il fatto che in una partita di questa portata non si veda nemmeno uno scatto d’orgoglio, una spinta, un calcione, è preoccupante. Molto. Un esempio? Jorginho che, in occasione del misfatto, alza il braccio invocando il fallo di mano, anziché rincorrere o, perché no, spendere un giallo su Trajkovski, che invece ha tutto il tempo di stoppare (di petto!), prendere la mira e fulminare un Donnarumma non del tutto esente da colpe. Altro esempio? I 16 calci d’angolo (contro 0 dei macedoni), ingoiati a ripetizione e calciati o con sufficienza, o corti alla ricerca di schemi macchinosi. Ultimo esempio? Chiellini buttato nella mischia nel recupero, che ricorda molto Ventura che chiedeva a De Rossi di scaldarsi in quella buia notte di San Siro del novembre ’17.
Il portiere ospite non deve nemmeno sporcarsi i guanti, se non su uno scialbo tiro di Berardi, che, a porta semi-vuota, sceglie la precisione e perdona Dimitroevski (della serie: non la buttiamo dentro manco se ce la offrono su un piatto d’argento). Paghiamo la mancanza di un bomber di razza, un Vlahovic italiano. Ieri, ad un certo punto, 2/3 dell’attacco erano del Sassuolo, mezza squadra era costituita da calciatori che giocano all’estero (Verratti e Jorginho a centrocampo, a cui si aggiungono Emerson del Lione, Donnarumma del Psg e a breve Insigne, che a giudicare dalla prestazione, è pronto per il calcio canadese). Nel finale ci siamo affidati a Joao Pedro, 30enne del Cagliari, il che è tutto dire. Milan, Inter e Juve. Dove sono? Che apporto danno alla Nazionale in termini di “capitale umano”? Con massimo 2 o 3 italiani titolari non si va da nessuna parte fuori dai nostri confini.
Non è sfortuna se per due edizioni di fila il nostro tricolore non figura tra le partecipanti della fase finale del torneo iridato. Non è sfortuna se nessuna squadra italiana è andata oltre gli ottavi di Champions e non ne vince una da dodici anni. Così come non è merito della dea bendata se a Wembley abbiamo alzato la coppa in faccia a 70 mila inglesi ammutoliti. Perché la sorte non c’entra? Perché, che piaccia o no, noi vinciamo solo quando siamo messi spalle al muro, quando nessuno ci considera, quando siamo dati per morti. E’ lì che facciamo le imprese e sbaragliamo le corazzate. Dalla Germania nel ’70, al Brasile nell’82. Dalla Francia nel 2006 dopo lo scandalo Calciopoli, all’Inghilterra quest’estate. Siamo fatti così, appena ci esaltiamo un minimo, perdiamo la nostra identità e veniamo bastonati.
Le avvisaglie c’erano. Dal preoccupante 1-1 con la Bulgaria a settembre, subito dopo la vittoria dell’Europeo, ai due pareggi con la Svizzera (conditi da 2 rigori falliti), per culminare con le reti bianche di Belfast, che ci hanno condannato ai play off. Vero che giocare contro la 67esima del ranking dà meno stimoli che sfidare i fautori del “it’s coming home” a casa loro, ma se all’orizzonte si prefigura la seconda Caporetto di fila, cosa mai accaduta nella storia, le motivazioni dovrebbero crearsi da sole.
Un altro anno zero? Servirebbe, ma senza mandare tutto all’aria o cercare colpe nei singoli. Mancini, tanto criticato a caldo, è colui che dalle ceneri ha costruito una Nazionale che non è più solo catenaccio e contropiede. Processare solo lui, significherebbe sbagliare l’obiettivo, che sta ben più in alto, ai vertici semmai. All’orizzonte i giovani ci sono e lui sarebbe l’uomo giusto su cui costruire un percorso di ripartenza: Scamacca, Bastoni, Zaniolo, Tonali, oggi sono oscurati dalle prime linee ma a breve avranno di diritto una maglia azzurra titolare sulle spalle. Peccato che, molto probabilmente, pagherà il “Mancio” per tutti.
Dall’apoteosi all’apocalisse, in una manciata mesi. Stavolta fa più male, perché credevamo di essere i più forti del mondo e che peggio di Ventura non si potesse mai più fare. Paghiamo lo scotto di un calcio speculativo, fatto di ritmi bassi e di gioco effettivo sotto la media rispetto agli altri paesi. Oggi, date un abbraccio ai vostri figli, se li avete. Un mondiale da adolescenti non glielo ridarà più nessuno.
Lascia un commento