ASCOLI PICENO – Secondo i dati forniti dall’Inps ed elaborati dall’Ires Marche, nelle Marche i lavoratori stranieri (extracomunitari con regolare permesso di soggiorno e persone nate nei paesi comunitari) sono quasi 88 mila e nel 2019 hanno rappresentato il 13,6% del totale dei lavoratori del settore privato. Nel dettaglio, i comunitari sono il 3,9% del totale, mentre gli extracomunitari rappresentano il 9,7%.

L’incidenza dei lavoratori stranieri è maggiore nei rapporti subordinati, dove si attesta al 15,9% (contro l’8,3% degli autonomi). In modo particolare, la presenza relativa degli stranieri rispetto al totale dei lavoratori è più elevata nel lavoro domestico (61,1%) e nel settore privato agricolo (29,9%). 

Considerando il complesso dei lavoratori stranieri, rispetto al 2010 questi sono diminuiti di circa 2 mila unità (-2,2%). In particolare, a diminuire sono i lavoratori stranieri dipendenti, ed in particolare i lavoratori domestici (-5 mila unità); dall’altra parte, invece, aumentano gli stranieri autonomi, soprattutto per effetto della crescita dei commercianti, i quali crescono di 1.309 unità (+32,3%).

La distribuzione per qualifica mostra che l’85,4% dei lavoratori stranieri del settore privato non agricolo ha una qualifica di operaio, mentre solo l’8,2% di impiegato.

Infine, osservando le retribuzioni, nel 2019 i lavoratori stranieri dipendenti hanno percepito una retribuzione media lorda annua di 13.084 euro, dato che registra una crescita del 23,5% rispetto al 2010. Tuttavia, restringendo il campo al settore privato non agricolo, è possibile notare una differenza sostanziale tra le retribuzioni dei dipendenti stranieri e quelle degli italiani: i primi percepiscono 5.619 euro annui in meno dei lavoratori italiani, ovvero il 27,8% in meno. Rossella Marinucci, segreteria Cgil Marche, tira le somme: “Le condizioni di vita e di lavoro dei migranti sono troppo spesso critiche, segnate da maggiore precarietà, insicurezza e insalubrità, bassi salari e collocazione nei livelli inferiori dell’inquadramento. Il tutto senza contare le situazioni di sfruttamento e irregolarità. Questa situazione non può non coinvolgerci ed impegnarci, come Cgil, alla costruzione di un cambiamento sociale profondo e una nuova fase di sviluppo collettivo e inclusivo”.