DIRITTI AL PUNTO – UNA RUBRICA DELL’AVVOCATO ANDREA BROGLIA
Una lavoratrice, impiegata in una RSA, veniva collocata in aspettativa non retribuita (fino al 31 dicembre 2021) poiché non si era sottoposta alla vaccinazione anti COVID-19. Per tale motivo, depositava ricorso affinché il Tribunale dichiarasse l’illegittimità del provvedimento datoriale.
Il Tribunale di Milano, esaminato il caso, ha stabilito che il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione deve essere considerato l’extrema ratio. Precisa il Tribunale : vi è un preciso onere del datore di lavoro, prima di sospendere il lavoratore, di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente allo stesso assegnabili, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Il Tribunale ha quindi condannato il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni sospese dalla data di sospensione sino all’effettiva riammissione in servizio o all’adozione di provvedimento legittimo di sospensione ma non ha disposto la riammissione in servizio della ricorrente per lo svolgimento delle mansioni di ASA. Ciò in quanto, la lavoratrice, alla data della decisione, non aveva ancora aderito alla campagna vaccinale, incorrendo nella preclusione normativa di cui all’art. 4 comma 1 d.l. cit. che accompagna l’introduzione dell’obbligo vaccinale, per determinate categorie di lavoratori, alla previsione secondo cui “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.
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