IL DIRETTORE: Riceviamo e pubblichiamo una nota del sambenedettese Giorgio Camaioni, sempre molto attento alle vicende della città di San Benedetto e non solo. Ritengo il suo messaggio estremamente indicativo di quella che è diventata la politica negli ultimi 50 anni.

Salvo soltanto i primi anni dopo la seconda guerra mondiale dopo di che il crescendo di politici ‘da strapazzo” (non proprio tutti naturalmente) ha fatto perdere, a quella che dovrebbe essere un’arte nobile, il vero senso della sua missione. In collaborazione con un modo di fare giornalismo che ha aiutato molto una discesa irrefrenabile che è difficile per tutti prevedere dove ci porterà.

Leggete con attenzione perché solo all’apparenza sembrano esagerazioni le pungenti considerazioni di Camaioni che, negli anni novanta, iniziò ad interessarsi della sua città con i famosi Fax di Pgc.

Amatrice-25 Agosto 2021

“Col raduno di tutti i draghi del cucuzzaro, si è festeggiato in pompa magna anche il 5° compleanno del terremoto.

Presidenti, governatori, parlamentari, consiglieri regionali e anche meno, sindaci, commissari, questori, prefetti, alte medie e basse cariche militari, capi di ogni risma, pompieri, vescovi, preti e cotillons.

Cerimoniale ineccepibile: i rintocchi di campana a morto, la tromba che suonicchia il silenzio, la corona d’alloro sfiorata da ben addestrate mani tremanti, il coro in nero che attacca – come viene, viene – con l’Alleluia, la messa allo stadio con predica a tutte maiuscole, la folla di bandiere appena stirate con pure quella europea, i medagliati stendardi e gonfaloni dei Comuni, la commovente veglia con fiaccolata… più giornalisti, fotografi e televisioni come il sale, ovvio.

E di qua, industriali, progettisti, costruttori e (im)prenditori attentissimi, “adesso i soldi ci sono”, “non mancano i capitali, quando si tratta di spenderli male” (G. Ceronetti).

Poi il paterno colloquio con i superstiti e i familiari dei morti [“Lo Stato vi sarà sempre vicino”, notare il futuro…], le reboanti promesse declamate con quelle facce un po’ così, quelle espressioni un po’ così… (se dovessi commentarle, sarebbero tutti omissis), le cifre tonde a molti zeri della ricostruzione e della rinascita sparate senza vergogna o allungamenti di nasi.

Ma incredibilmente, ad Amatrice ancora ci credono. Battezzano ogni cosa col nome “Rinascita”, Ponte della Rinascita, Bar Rinascita, Ristorante Rinascita, magari si ritroverà ‘sto nome pure qualche incolpevole neonata.

Ma quale rinascita: della farmacia rimane solo una cassettiera con ancora i farmaci (scaduti) e una confezione di pannolini, sul pavimento sfondato di una casa di anziani distrutta resta solo una macchinetta per misurare la pressione, di una Opel Corsa, come di altre auto, non hanno rimosso neanche le carcasse… Hanno solo sgombrato le macerie, se le sono vendute – letteralmente, pietra dopo pietra – prima che finissero di mangiarsele le sterpaglie. L’antica torre civica, inclinata, puntellata e irriconoscibile, con quel provvisorio-definitivo sgarbato tetto rosso di ferro, è l’offesa bruciante simbolo della disonestà politica della “rinascita” di Amatrice-dimenticatoio-d’Italia.

Per il resto, a parte qualche (non indispensabile) opera pubblica frutto di donazioni private e la teatrale PRIMA – e unica – PIETRA inaugurata l’altro giorno (dopo 5 anni!) da Zingaretti, “UNA SOLA GRU E CANTIERI DESERTI”, “DOPO 5 ANNI LA RINASCITA NON C’E”. Anzi, tira ovunque un’aria macabra, da 5 anni!

Fra un anno, il sesto compleanno sarà uguale. Però l’entusiasta sindaco Bufacchi pensa già al glorioso decennale, al 24 agosto 2026, quando gli incapaci, gli incompetenti, i furbi, i chiacchieroni e i la… (omissis) di oggi e di domani completeranno (dice lui) l’opera – in tutta evidenza mai iniziata – di ricostruzione di Amatrice. Alè!

      Eppure ci vorrebbe poco per interrompere questi indecenti Festival dei Disperati. Basterebbe educatamente sabotarli. Per esempio disertarli in massa, noi gente comune, noi vittime, noi familiari, noi spettatori solo all’apparenza non paganti. Lasciarli, i politici e gli alti papaveri, soli soletti. A guardarsi tra loro stupiti perché i loro ubbidienti sudditi-votanti non ci sono. Costretti a dirsi la messa da soli, a suonarsi il silenzio e l’Alleluia, a sparlare al vento, a spromettere, a non sorridere agli applausi a comando che non ci sono. Certo che qualche paura gli verrebbe, di venire assaliti dalle colline intorno da gente incazzata coi forconi, di essere inseguiti dai lupi intelligenti, dai cani selettivamente feroci dei pastori… cose così. Ad Amatrice (anche ad Accumoli, Arquata, Pescara del Tronto…) non sarebbe impossibile.

Ma non succederà. Non faremo niente, tutto continuerà come sempre. Anche dopo che loro si saranno mangiato tutto e a noi non resterà che la pasta all’amatriciana”  

 PGC