NOTA DEGLI AUTORI ALLA NUOVA EDIZIONE DEL SETTIMO CENTENARIO

Settecento anni sono passati dalla nascita di Dante Alighieri e siamo ancora qui a celebrarlo, perché il Poeta ha ancora molto da dirci e da darci. 

Senza l’ingiusta condanna, se fosse rimasto a Firenze, e avesse continuato la carriera politica, forse non avrebbe avuto il tempo di scrivere il suo Divino capolavoro. Invece conobbe il dolore dell’esilio e la disgrazia divenne, per lui, motivo anche d’ispirazione. Così noi, da allora, non possiamo che raccogliere i frutti, certamente del suo genio ma anche delle sue sventure: per godere della più grande opera poetica di tutti i tempi.

 

“I poeti non accendono che lampade.

Poi loro si dissolvono.

Il lume che hanno provocato,

se è luce vitale,

permane come fanno i soli.

Ogni epoca una lente

che allarga la loro

circonferenza”.

 

Così scrive Emily Dickinson. Gli anni e i secoli non fanno che allargare il raggio d’azione del poeta. Aumentano la sua luce.

“Capita, a volte, che un popolo si addormenti come l’acqua di uno stagno in un giorno senza vento. In quei casi la superficie dell’acqua non è turbata da un benché minimo movimento. Le rane dormono sul fondo e gli uccelli riposano immobili sui rami all’intorno. Ma, d’un tratto, lanciate una pietra. Vedrete un’esplosione di cerchi concentrici, di onde circolari che si allargano, sovrapponendosi le une alle altre, fino a frangersi contro le rive dello stagno. Vedrete l’acqua in subbuglio totale, un fuggire di rane in tutte le direzioni, un’inquietudine lungo tutte le rive. Persino gli uccelli, che dormivano sui rami ombreggiati, spiccano il volo a stormi verso l’azzurro. A volte un popolo dorme come l’acqua di uno stagno in un giorno senza vento, e allora un libro o alcuni libri possono scuoterlo e renderlo inquieto, possono mostrargli nuovi orizzonti di emancipazione e di solidarietà”.

Queste sono parole pronunciate da Federico García Lorca nel famoso discorso che inaugurava la biblioteca del suo paese natale. Anche lui parla di cerchi che si allargano all’infinito e rendono inquieto lo stagno del mondo.

E quale inquietudine più grande ci può essere di quella che leggiamo sulla pagina: “mi ritrovai per una selva oscura”. Ma poi c’è il Purgatorio, a sollevare l’uomo e il poeta dal peso delle pene e, infine, c’è Beatrice ad accompagnarlo nel suo estremo e non più solo poetico viaggio, verso il Paradiso; poiché certamente, di qualunque peccato si fosse reso responsabile l’amante e politico Dante, dopo averlo meravigliosamente cantato quel Paradiso, il Dio dei cieli, nella sua giustizia, non gli avrà potuto negare il dono di farne parte gloriosamente.