LE AVVENTURE DI PASQUALE LA QUAGLIA A LONDRA

di Brevevita Letters – disegni di Ilario M.

 PERIODI DI TRANSIZIONE

(episodio 16 di PLQ)

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La Quaglia aveva ormai preso coscienza del fatto che il suo inglese faceva cagare. E dire che poche settimane prima, quando era arrivato a Londra per restarci, pensava in fondo di cavarsela abbastanza con la lingua, perché lui erano 30 anni che ascoltava la musica anglosassone, e sapeva i testi delle canzoni, e conosceva le parole meglio di tutti i suoi amici del bar, e c’aveva pure una buona pronuncia; e poi l’inglese lo aveva studiato anche a scuola, e la grammatica gli era entrata in testa immediatamente, di certo molto più facile di quella italiana, con gli aggettivi asessuati, cioè senza bisogno di metterli al maschile o al femminile, e con le coniugazioni dei verbi infinitamente più semplici, con la terza persona singolare del presente indicativo che basta aggiungerci una esse, e la versione al passato che nella maggior parte dei casi basta aggiungerci la dicitura <<e.d.>> alla fine, sì, come no, che ci vuole.

 

Certo.

 

Facile a dirsi.

 

Ma non aveva fatto i conti con l’inglese pratico, quello della vita di tutti i giorni, quello che quando ti parlano al telefono vorresti che Cristo calasse dalla croce per darti una pacca sulla spalla e per dirti: “tranquillo ragazzo, mo ti mando la traduttrice del Costanzo Show”.

 

Ma Cristo non cala. 

Non si scomoda per queste stupidaggini.. 

E c’ha pure ragione. 

Non arriva nessuno a salvarti in quei momenti lì, sei maledettamente solo, tu e la tua pochezza.

 

Dunque appena riattacchi il telefono sei talmente frustrato e depresso che davvero può sembrarti di sentire la voce dell’Onnipotente: “questo è l’inferno e dovevi conoscerlo ragazzo, l’arrivare a quasi quarant’anni e ricominciare da capo come un bambino di due che non capisce le parole, il dire di sì quando effettivamente non c’hai capito un cazzo, l’estrapolare significati immaginandoli dall’unica cencia di parola che ti sembra di avere afferrato. Se davvero hai voglia di diventare un uomo completo devi saper sopportare queste umiliazioni; statti calmo, la strada è lunga, devi superare questa merda con pazienza, resisti, e alla fine avrai me come tuo amico”

 

Ma soprattutto, La Quaglia non aveva fatto i conti con gli scozzesi, i quali, peraltro, non si sa perché, quando telefonavi ai numeri verdi per discutere di qualsiasi cosa (contratti telefonici, cose bancarie, articoli del commercio online che non erano stati consegnati), erano quasi sempre loro a risponderti, gli scozzesi, e quando parlano gli scozzesi non c’è scampo.

 

Pare che parlano un inglese mescolato col tedesco, con una pronuncia quasi poliziesca, qualcosa che ha a che fare con la severità. Eppure gli scozzesi sono molto più caldi ed amichevoli degli inglesi, come indole.

 

La Quaglia ne aveva conosciuto uno in un pub qualche giorno prima, di questi scozzesi, un poliziotto in abiti borghesi vicino alla pensione, sui sessant’anni, un po’ grassoccio, coi capelli tutti bianchi, ma con del fascino vagamente hollywoodiano. Avevano visto fianco a fianco una partita di Champions League ed avevano iniziato a scambiare commenti e a mostrarsi l’un l’altro delle foto sui rispettivi cellulari. Lo scozzese gli parlava del Celtic Glasgow, La Quaglia della Sambenedettese.

Alla fine lo scozzese chiese a La Quaglia che cosa ci facesse a Londra.

“Sono qui da solo”, rispose La Quaglia “sono appena arrivato e mi sto sistemando al lavoro. E tu?”

“I’m a cop” (vuol dire un poliziotto)

“oh wow”

“yes, yes, I’m a cop, I’m a cop” 

“and are you married?” (e sei sposato?)

“no, I’m divorced”

“oh, sorry”

“yes, yes, I’m divorced, I’m divorced, I’m divorced, I’m divorced” (sono divorziato, sono divorziato, sono divorziato, sono divorziato).

Lo scozzese glielo ripetè così tante volte che per La Quaglia quell’uomo diventò immediatamente un fraterno amico, perché questo è il tipico confessare dei maschi, di qualsiasi estrazione sociale si tratti ed in qualsiasi latitudine mondiale ci si trovi, ovvero il concentrare dentro a due parole in croce tutta l’essenza di un’anima ferita.

 

Poche chiacchiere, poca commedia.

 

Era il pomeriggio verso le 7, e quel giorno La Quaglia si fece due birre anzichè una come era uso fare di solito, perchè il poliziotto scozzese volle a tutti i costi offrirgli un’altra Guinness. 

 

Va beh, comunque quella sera il poliziotto disse infine una serie di cose, che La Quaglia fece fatica a capire:

 

“tower tower”, che cazzo sta dicendo, pensava La Quaglia.

“tower friend tower friend”, continuava a dire lo scozzese, elargendo grandi pacche sulla spalla di La Quaglia.

Ma che cazzo dice? amico torre? è un modo di dire scozzese? forse allude alla classica caratteristica dei centravanti scozzesi di fare da torre? ovvero lo spizzare e il far da sponda?

 

 

TAUER? TAUAN? no cazzo stava dicendo <<italian>>, incredibile ragazzi come parlano gli scozzesi, fidatevi è meno ostico il giapponese.

 

Comunque sia, La Quaglia aveva sempre avuto un debole per la Scozia, innanzitutto per fatti calcistici, perché era sempre stato affascinato dal temperamento dei calciatori scozzesi, e anche dalla maglia della loro nazionale di calcio: un blu scurissimo molto vicino al nero, con pantaloncini bianchi, e calzettoni anche questi blu scurissimo con risvolti rossi; e poi Gary Mc Allister, Gordon Strachan, gente con dello stile impavido, gente che quando arpiona la palla sa farti entusiasmare. Proprio come questo signore dai capelli d’argento, un uomo dai tempi cinematografici perfetti. La Quaglia uscì dal pub non prima di aver detto allo scozzese: “ora devo andare, domani pago io”.

 

Eccoci qua finalmente all’aria aperta.

Londra Nord in un tardo pomeriggio di Ottobre.

Facciamoci una bella boccata di pullman a due piani e ristoranti turchi perennemente operativi, coi banconieri sudatissimi, che pare che non riposano da sei giorni.

 

Dopo un centinaio di metri in direzione casa, ormai al riparo da possibili rigurgiti di clienti del pub,

il ragazzo si fermò su una panchina. 

Non faceva tanto freddo. 

Si fumò una sigaretta.

Riflettè.

Gli argomenti come al solito erano l’Universo e quel suo povero se stesso, così solo, così vivo, così segretamente potente.

A La Quaglia non piaceva farsi più di una birra.

Diceva che gli rovinava la cena.

E vabbè, ma tanto, che cena si sarebbe potuto rovinare, stava da solo, nessun familiare al seguito, si sarebbe aperto una scatoletta di tonno, o poco di più. 

 

Chi se ne frega.

 

Al riento a casa La Quaglia scoprì che il soggiorno era deserto, tutto buio, non c’era nessuno, sembrava notte fonda ma erano solo le sette e mezza di sera.

 

Dopodchè, nel buio profondo arrivò lei, la ventottenne di Pescara.

Le si presento davanti nel silenzio piu totale.

Era scesa dalla sua stanza come un puma, dopo averlo sentito rientrare.

 

“che fai”, le disse lui.

 

Lei non rispose. Stava ferma all’imbocco tra il soggiorno e la cucina. In piedi. Immobile. 

 

“Dove sono gli altri?” chiese La Quaglia.

 

Ancora attimi di silenzio, poi lei si passò una mano tra i capelli, e disse: “il magazziniere fa il turno di pomeriggio finisce alle dieci, e quell’altro coglione non rientrerà prima delle 3 di notte”.

 

“Mizzica che confessione pesante”, pensò La Quaglia “e riservata solo a me”.

Pochi secondi di studio. L’unico rumore che si sentiva era il motore del frigorifero. 

 

BZZZZZ

 

BZZZZZZZ

 

BZZZZZZZ

 

“Portami di sopra” disse infine lei.

 

Fecero l’amore nella stanza di La Quaglia. Fu una serata belllissima.

 

Le trecce nere della ventottenne di Pescara adesso erano sciolte, ed erano diventate delle liane indistruttibili. La Quaglia le poteva vedere grazie alla luce giallastra dell’abat-jour, e al momento ci si poteva aggrappare decisamente. I fianchi della ragazza erano fantastici. La Quaglia li accarezzava con dolcezza, ed instancabilmente. Il ragazzo si sarebbe ricordato di questi preziosi attimi per molto tempo a venire.

 

Restarono uniti a lungo, per un periodo che sembrò sterminato. Si trattava di una passione inaspettata. Stavano godendo separatamente, lontano dalle rispettive vite, si stavano utilizzando a vicenda, per sopperire ad alcune mancanze.

 

In fondo, se lo meritvano entrambi.

 

Mentre facevano l’amore, La Quaglia ebbe la certezza che l’indomani lei non lo avrebbe nemmeno guardato in faccia. Più diventavano intimi più lei lo trattava come una merda, questo s’era capito, ma intanto, si stavano rilassando. Sotto e sopra di lui la ragazza assunse un’espressione piena di grazia, almeno per una mezz’ora.

 

Bah. Poco importava. Era di certo tutta roba bellissima, ma comunque roba senza valore, perché l’indomani sarebbe svanito tutto.

 

Ogni cosa sarebbe ritornata al suo posto, lei alle prese col suo coglione ventiseienne pazzoide, lui con l’illusione di ritrovare Tatiana su whatsapp. L’Italia, le cose italiane, l’altra vita, le altre persone, la parte mancante di ognuno, il proprio cervello incompleto.

 

I periodi di transizione sono pericolosi, ti fanno fare e sognare cose inesatte, ingrandiscono le angosce ed i desideri. Ti fanno piangere. Ti fanno sentire affine alla gente malata di mente, anche ai malati di lusso, come per esempio Lars Von Trier.

 

Ecco.

Le cose.

Le cose, le persone sballate.

Per favore, non stiamoci a dire esattamente come sono andate le cose.

Meglio star zitti.

Meglio star zitti pure con se stessi certe volte.

Meglio mentire.

Meglio far finta. 

Meglio fare l’amore, e basta.

 

Brevevita Letters

(con disegni di Ilario M.)