GENOVA – Lo scorso 20 febbraio, da Genova, è partita la proposta avanzata dalla Fccn (Fusione Comuni Coordinamento Nazionale) nei confronti dell’attuale Presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi. L’oggetto della richiesta si aggancia al primario obiettivo che il Premier ha presentato, ossia la “semplificazione” per il rilancio e la modernizzazione del Paese, come nei processi decisionali, così nelle procedure operative. La proposta in questione prevede un progetto di riorganizzazione delle responsabilità e delle competenze attraverso una riduzione numerica dei comuni su territorio nazionale.

La Fccn, composta da sindaci e da un crescente numero di associazioni, ha colto l’idea del Premier e non ha esitato nel proporre un coraggioso ripensamento del governo dei territori, ponendo in prima linea il bene del Paese, e la sua più che ottimale gestione.

Il suggerimento, che fa appello alla vigente normativa e alla volontà dei cittadini accertata attraverso il referendum consultivo, è quello di una drastica ma necessaria riduzione, facilmente realizzabile con un decisivo incremento dei contributi incentivanti previsti dalla legge stessa.

Questa fusione risulta congeniale, illustra l’Associazione, alla riduzione della frammentarietà del territorio, diviso attualmente in quasi 8 mila Comuni, dalle dimensioni ed esigenze, di conseguenza, più che differenti: circa il 70% conta meno di 5 mila abitanti, mentre un quarto ne conta meno di mille. Risulta evidente che questo scarto non facilita l’adempimento delle richieste avanzate ugualmente ai comuni di migliaia di abitanti e a quelli di diverse decine, i quali non godono delle stesse strutture e risorse.

Come già dimostrato da sperimentazioni passate, che hanno dato il via alla soppressione di circa 400 comuni, in cui l’indice di gradimento registrato dalle popolazioni coinvolte è stato più che positivo, lo strumento della fusione offre pertanto, rinnova la Fccn, un’opportunità ben studiata e normata.

Le proposte avanzate suggeriscono di cancellare o aumentare sensibilmente il tetto di due milioni di euro per ogni fusione, aumentare i contributi a sostegno della fusione, introdurre premialità per i comuni fusi nella valutazione di bandi statali ed europei ed infine, prevedere l’anticipo di una parte delle risorse destinate al nuovo comune, al fine di finanziare prematuramente l’operatività delle fusioni, così che abbiano competenze tecniche e professionali e che garantiscano, senza discontinuità, servizi quotidiani e prestazioni professionali ai cittadini.

Ciò che viene suggerito quindi, apporterebbe vantaggi non indifferenti, tra i quali risparmi nelle spese di gestione dei comuni stessi e maggior efficienza dei servizi, una significativa attrattività per gli investimenti del territorio, progettualità ed iniziative di sviluppo, disponibilità ridimenzionata e adeguata di competenze e risorse territoriali. Il disegno proposto è chiaro e ben strutturato, degno di considerazione anche a livello europeo. L’ambizione del progetto è alta, ma non manca di motivazione e collaborazione da parte dell’Associazione. Si tratta di un’occasione non da poco per ristrutturare “il sistema Paese” e renderlo più moderno.