LE AVVENTURE DI PASQUALE LA QUAGLIA A LONDRA

di Brevevita Letters – disegni di Ilario M.

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IL GRANDE FASCINO DEGLI AUTOLAVAGGI

(episodio tredici)

In quel periodo La Quaglia aveva preso a guardare documentari su youtube. Lo faceva alla notte, prima di dormire, li usava come sonnifero. Quella precisa sera il ragazzo andò a sbattere con un documentario della casa di produzione UNEDI, “Londra dal punto di vista dell’immigrato” diceva la sigla iniziale. Sci vabbè.

 

La Quaglia seguì i titoli di apertura con atteggiamento disilluso e saccente, come se lui fosse già un esperto in materia: “Londra. Questa città bestiale. Questa città dove tutti vengono per provare a realizzare i propri sogni. Questa città che ti leva tutto per poi ridartelo”, dicevano. “Questo posto dove non sei nessuno ma puoi diventare qualsiasi cosa”, così dicevano.”Appena arrivi non ci capisci un cazzo e ti sembra tutto grande, tutto un’interminabile scalata”, diceva uno che veniva intervistato, e questo La Quaglia l’aveva già appreso sulla sua pelle, nel suo piccolo. Eddai in fondo non sembrava poi così male ‘sto filmato.

“Un reset potente che può dirti chi sei”, diceva la voce fuori-campo, “resistono in pochi, perché sono pochi quelli che riescono a essere una persona reale”. Ammazza, mo si passava pure alle robe filosofeggianti barra motivazionali, ah ah ah.

E ancora: “…catalizzatore di qualunque specie di essere umano e qui non si parla di razze, bensì di aspirazioni, si va dal cazzone nullafacente all’uomo d’affari, dall’onesto lavoratore al sognatore incallito, eccetera, qualsiasi cosa puoi essere e qualsiasi cosa puoi diventare… “

Sci vabbè. Seguirono interviste a napoletani che facevano la pizza e schiavi mercatari con un cencio di dipendente che però sembrava che gestissero la Microsoft.

Vabbè comunque non era male ‘sto filmato.

La Quaglia spense tutto e chiuse gli occhi. Sembravano anni che stava lì, invece era poco più di una settimana. La sua vita precedente gli appariva piccola, lontana, sfocata. 

In questa nuova città era momentaneamente affascinato da tutto e da tutti, anche dagli sfigati senza una moglie, né una dimora, che incontrava al pub.

Un uomo di colore sulla sessantina, con cui La Quaglia aveva attaccato discorso qualche giorno prima, gli aveva detto: “esistono tante versioni di Londra: c’è North London, c’è South London, c’è East London, c’è West London, e poi c’è la City, cioè quella che conoscono i turisti”.

Fu una frase estremamente semplice, ma che gli rimase impressa, perché La Quaglia non riusciva ancora assolutamente a distinguere le differenze, figuriamoci. Lui era solo un cagnolino infreddolito con la testa bagnata dalle showers, le pioggerelle soffici di Londra, un cagnolino che trotterellava in giro tutto curioso, ma che ancora non ci aveva capito nulla. Varie anime della metropoli? Bah. Lui vedeva solo enormi input affluire dentro al suo cranio, molto disordinatamente, una marea di informazioni che aveva cominciato a elaborare, e vedeva soprattutto il nuovo affitto avvicinarsi. A proposito, coi soldi che c’aveva ne poteva pagare forse altri due, di affitti, poi sarebbe andato in merda.

Grande scena artistica, grandi possibilità per i creativi e grande fermento? Bah. Più che altro al momento lui vedeva una grande quantità di lavatori di macchine polacchi e rumeni. Chissà perché La Quaglia era affascinato dagli autolavaggi, gli sembravano dei rozzi modellini di un playmobil atavico, primordiale, con gli smile dei pupazzetti che invece erano sostituiti da grugniti e da smorfie di scafatezza, a volte di disappunto e di disgusto, che lo proiettavano immediatamente verso le sterminate campagne dell’Europa Centro-Orientale.

Ogni volta che passava a fianco a un autolavaggio, La Quaglia ci si fissava, e doveva stare pure attento a non dare nell’occhio perché la sua fame di vedere le facce e capire le gerarchie dell’autolavaggio era quasi violenta. Gli interessava capire chi era il boss dell’autolavaggio, gli interessava capire l’organizzazione interna, ammirare l’implacabile armonia delle mosse dei lavatori di macchine, tutti splendidamente sincronizzati: il terzino che spolvera gli interni col panno di daino, l’ala sinistra che accarezza le ruote col lucido spray, il centravanti che decisamente affonda col sifone insaponato sul parabrezza, un perfetto lavoro di squadra, simultaneo e corale, anche laddove poteva sembrarti, a un primo rudimentale sguardo, che lì regnasse l’anarchia e il menefreghismo più totale. Invece no. Ognuno nell’autolavaggio conosceva incredibilmente bene il suo ruolo, tanto da far sembrare uno scemo qualsiasi cliente, o chiunque passasse di lì e osasse accampare un dubbio.

In un luogo perfetto come questo, nulla è mai lasciato al caso, anche se apparentemente tutto sembra lo sia. 

Oltretutto, il boss dell’autolavaggio è sempre un personaggio dall’autorità indiscussa, che siede dietro la scrivania di ufficetti ricavati nello stipite del cesso, e rilascia ricevute sbrigative, scritte a mano, in calligrafie incomprensibili, e guarda dall’alto in basso pure i possessori di Audi A4 TT o Maserati.

Ha stile.

Ha stile da vendere il capo dell’autolavaggio.

A La Quaglia interessava osservare il flebile e complesso rapporto di ghiaccio che si instaurava tra il lavatore di macchine e il possessore di una Mercedes da 60mila sterline.

Nel fondo della sua anima La Quaglia pensava che prima o poi sarebbe finito a lavorare lì, che avrebbe rivestito uno di quei ruoli intriganti, spolverare cruscotto con panno di daino? Sifone insaponato sul parabrezza? cose del genere insomma . . . 

La Quaglia vedeva tristezza e povertà, e d’altra parte vedeva una enorme ricchezza. Le solite cose contraddittorie degli esseri umani, però amplificate ai massimi livelli.

Il bello.

Il brutto.

L’odio.

Le aspirazioni.

Ecco, se mai La Quaglia avesse dovuto indicare una precisa idea da perseguire, di certo questa era aspirare l’odio di cui s’era riempito fino ad allora. Il ragazzo era intossicato di odio. 

Ora voleva l’amore, ma l’amore non c’era, o meglio, ancora non lo vedeva. 

La sua idea dell’amore era rimasta in Italia. 

Tatiana era rimasta in Italia. Non si scrivevano più manco al cell.

 

Brevevita Letters

(con disegni di Ilario M.)