SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Di seguito una nota di Fiom-Cgil e Uilm-Uil in merito alla chiusura dello stabilimento della Rcf a San Benedetto. Rcf è un’azienda con sede a Reggio Emilia che realizza sistemi audio avanzati.

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La Rcf, azienda di Reggio Emilia, leader dei sistemi audio ha annunciato il giorno 12 gennaio la volontà di cessare l’attività presso lo stabilimento di San Benedetto del Tronto e di trasferire presso lo stabilimento reggiano i dipendenti che fossero disponibili.
E’ stato un fulmine a ciel sereno perché il 20 ottobre 2020, nell’ultimo incontro aziendale congiunto con le maestranze emiliane, l’azienda aveva garantito la tenuta dei livelli occupazionali e la presenza produttiva a San Benedetto del Tronto.

Cosa é successo successivamente a quella data che può aver fatto cambiare idea circa le sorti dello stabilimento sambenedettese?
Il 12 dicembre 2020, la proprietà annuncia a mezzo stampa di aver ricevuto un prestito garantito da Sace e Mediocredito Centrale, ossia dallo stato italiano, di 44 milioni di euro da parte di una cordata di 13 banche e il 16 dicembre 2020 l’azionista di maggioranza, l’ingegner Vicari, invia a tutti i dipendenti una lettera in cui invita a tenere duro e si dimostra fiducioso in una ripresa.

E’ mai possibile che si ricevano soldi garantiti dallo Stato italiano e si chiudano siti produttivi? E’ stata la chiusura di San Benedetto del Tronto uno dei requisiti di riorganizzazione presenti nel nuovo piano industriale 2021 che ha aperto le porte al finanziamento delle banche?

Come organizzazioni sindacali oltre a manifestare il nostro sconcerto e l’incomprensione rispetto ad un palese voltafaccia aziendale, abbiamo proposto l’utilizzo di tutte le forme conservative dei posti di lavoro (ammortizzatori sociali covid, contratti di solidarietà, cassa integrazione ordinaria etc…) al fine di superare le difficoltà dovute alla pandemia in contemporanea all’istituzione di un tavolo di confronto con la Regione e le istituzioni locali per trovare insieme tutte le soluzioni possibili al fine di garantire la presenza dell’azienda nelle marche.

Da rimarcare che il sito produttivo di San Benedetto del Tronto, dall’inizio della pandemia, ha usufruito in maniera sensibilmente inferiore al sito produttivo di Reggio Emilia della cassa integrazione e nel mese di dicembre ha lavorato a pieno regime. Questo perché’ su san benedetto si produce public address system (un prodotto che in questo momento non sta subendo flessioni di mercato significative).

L’azienda è stata sorda rispetto alle nostre proposte, negandoci di fatto ogni possibilità di discussione e condannando i lavoratori ad una scelta drammatica o trasferirsi o il licenziamento. L’azienda sa bene che dipendenti con una età media di 45/50 anni, alcuni con problemi familiari, non affronterebbero un trasferimento in una realtà a 400 chilometri di distanza, in cui dovrebbero sostenere spese non indifferenti oltre ad una riduzione del reddito da lavoro dovuta ad una eventuale cassa integrazione.

Come Fiom-Cgil e Uilm-Uil. Siamo convinti che il sito produttivo di San Benedetto del Tronto ha ragione di continuare a produrre e abbiamo interessato della questione i massimi esponenti della Regione Marche tra cui il presidente Acquaroli e e l’assessore Castelli.