SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Sono arrivato all’ufficio circondariale marittimo di San Benedetto del Tronto da Savona il 1° luglio 1968 e presi l’incarico di nostromo. All’epoca il porto di san benedetto vantava il traffico peschereccio più importante d’Italia, con circa 30 navi da pesca atlantica”.

Vinicio Antoccia oggi ha 89 anni ricorda con precisione gli avvenimenti che precedettero e seguirono il naufragio del motopeschereccio oceanico “Rodi”, avvenuto nelle prime ore del mattino del 23 dicembre 1970. Dieci furono i marinai che persero la vita in quella tragedia: Alteo Palestini, 28 anni, Domenico Miarelli, 40 anni, Silvano Falaschetti, 16 anni, Antonio Alessandrini, 21 anni, Francesco Pignati, 19 anni, Giovanni Liberati, 30 anni, Marcello Ciarrocchi, 21 anni, Agostino Di Felice, 28 anni, Ivo Mengoni 42 anni.

Antoccia, nato nella vicina Atri (Abruzzo) era già stato a San Benedetto nel 1952 imbarcato su uno dei dragamine che bonificavano il tratto di mare tra Grottammare e Pedaso.

La sua dunque è la testimonianza preziosa di chi visse in prima linea i fatti del naufragio e anche le contestazioni della marineria seguenti ai ritardi nel recupero del relitto; tanto preziosa perché arriva da chi ha vissuto l’intera vicenda, seguendo da vicino le decisioni ed anche i timori dei rappresentanti delle istituzioni di fronte alla sollevazione popolare sambenedettese.

“La società proprietaria del Rodi era la Aretusa che aveva la proprietà di tre imbarcazioni, oltre al “Rodi” anche “Onda” e “Luna”. Il loro ufficio era nell’edificio dell’hotel Calabresi e l’amministratore era Federico Meo” ricorda Antoccia.

“Nella notte la tempesta infuriava. Al mattino del 23 durante il solito giro di controllo in porto notai che alla fonda fuori del porto non c’era più la nave cisterna che doveva scaricare il carburante per il deposito “Esso” di Grottammare. Evidentemente, pensai, che per le pessime condizioni meteo aveva salpato per mettersi alla cappa (ovvero rivolgendo la prora a mare, in maniera contraria alla corrente del moto ondoso, per risentirne di meno, ndr).

“La stessa cisterna dopo qualche giorno entrò nel porto per procedere allo scarico, in quella occasione parlai con il comandante a proposito del naufragio del Rodi, il quale mi disse: Nostromo avevo avvistato la mattina del 23 verso le ore 6, a circa 6 miglia al largo di Grottammare, delle luci e mi sono stupito che un’imbarcazione navigasse con quella tempesta. probabilmente doveva trattarsi del Rodi”.

Il Rodi era giunto a San Benedetto del Tronto nei primi giorni di dicembre dalla campagna di pesca atlantica per scaricare circa 170 tonnellate di pesce catturato in Atlantico. Dopo qualche giorno si recò a Venezia per lavori alla carena, per poi fare ritorno a San Benedetto per le festività natalizie e per approntarsi per un’altra campagna di pesca.

“Durante il viaggio di ritorno, nonostante la tempesta, i venti e le correnti settentrionali agevolarono la navigazione, ma, avvicinandosi verso la costa e dovendo rientrare nel porto di San Benedetto le condizioni precedenti mutarono impedendo al peschereccio di avvicinarsi al porto per una eventuale entrata” ricorda il nostromo.

“Molto probabilmente trovandosi ormai nelle vicinanze di San Benedetto il comandante Agostino Di Felice decise di invertire la rotta e mettersi alla cappa: purtroppo durante la manovra qualcosa non andò per il verso giusto e la nave imbarcando acqua perdette la stabilità e poco dopo il Rodi si capovolse”.

Continua Antoccia: “Qualche lupo di mare mi raccontava che alcune volte durante il mare in tempesta in quella zona si formavano due/tre onde anomale e per chi vi si trovava erano guai”.

“Abbiamo ritrovato gli orologi di bordo fermi alle ore 6.40: avendo le pile un’autonomia di circa 10 minuti possiamo ipotizzare che l’incidente sia avvenuto attorno alle 6.30 del 23 dicembre. Il motopesca atlantico si ribaltò completamente mostrando solo la parte prodiera della chiglia, così da non permettere l’individuazione del nome da parte della motocisterna “Mariangela Montanari”, che era diretta a San Benedetto per lo scarico e che aveva avvistato il relitto, ma non poteva così comunicare il suo nominativo al nostro ufficio. Ha solo potuto precisare che la carena era stata ripitturata da poco come infatti era avvenuto nei lavori effettuati a Venezia, e questo venne infatti comunicato dall’equipaggio del Montanari”.

Tuttavia, e Antoccia lo ricorda, i familiari dei marittimi del Rodi cominciarono a preoccuparsi perché la nave non era ancora entrata in porto come avevano assicurato i loro congiunti e qualcuno aveva cominciato a chiamare in ufficio.

“Telefonammo all’agenzia marittima Bruni per sapere se ci fossero navi in arrivo ma le uniche previste erano la nave cisterna che era alla cappa, la seconda nave cisterna “Mariangela Montanari” che si trovava nei pressi del relitto, una piccola nave cisterna “Etra II” della società Bruni Enrico, una nave jugoslava che doveva scaricare legname ed infine il Rodi: fu chiaro quindi che l’imbarcazione capovolta fosse il Rodi”.

“Durante il giorno del 23 la forte corrente trasportò lo scafo davanti alla costa di Montesilvano, prima di Pescara. Ma intanto in porto la marineria andò in agitazione e iniziarono le accuse per i ritardi con i quali le autorità decisero di recuperare il relitto. Noi, come Capitaneria di Porto, interessammo subito le massime autorità e fu contattato il Ministro della Marina Mercantile. Il problema dei ritardi fu dovuto alle festività natalizie che provocarono un rallentamento ulteriore dei normali tempi della burocrazia. Servirono varie autorizzazioni per avere l’intervento del pontone della Società Micoperi che faceva base ad Ortona” ricorda Antoccia.

“Nel frattempo a San Benedetto ci fu una vera e propria sommossa dei pescatori e noi avemmo l’ordine di restare in massima allerta e dovemmo organizzarci anche con turni di guardia notturni. Il comandante Angelone (tra l’altro originario di Ortona, casualmente la città nelle cui acque antistanti il Rodi fu infine recuperato) ed io con le nostre famiglie vivevamo nelle abitazioni situate sopra gli uffici del circondario marittimo. Il pomeriggio del 26 dicembre un gruppo di marittimi si diressero verso la nostra sede con l’intenzione di invadere l’edificio e fui costretto ad uscire per cercare di calmare gli animi rivolgendomi ai più esagitati minacciandoli che se avessero dato seguito alle loro intenzioni avremmo loro ritirato il libretto di navigazione a vita”.

“All’epoca eravamo pochi militari, circa una decina, a prestare servizio in quella sede, quindi i militari in licenza natalizia, al momento del visto di partenza, furono trattenuti nell’edificio nel caso in cui la situazione fosse peggiorata”.

Ringraziamo il signor Antonio Antoccia per la sua testimonianza, che sarà certamente utile ad arricchire ulteriormente le vicende relative ad un passaggio insieme tragico e fondativo per la comunità sambenedettese ma anche per l’intero settore della marineria sambenedettese e italiana.

Qui ulteriori approfondimenti recenti in merito alla ricorrenza dei 50 anni del naufragio del Rodi:

“Dirò del Rodi”: libro e videoclip di Cagnetti e Impiglia con la voce narrante di Sebastiano Somma

“Mare e rivolta”: il naufragio del Rodi e la lotta dei sambenedettesi in un libro, foto e dvd