SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Di seguito un comunicato stampa dei consiglieri comunali di opposizione Marco Curzi e Rosaria Falco che riguarda il lungo caso circa la qualificazione giuridica di Picenambiente, la partecipata dei rifuti: è a controllo pubblico oppure no?

Secondo quanto stabilito nello statuto, i soci pubblici hanno il potere di nominare la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione. Pertanto, si ritiene che la società Picenambiente, ai fini dell’applicazione del d. lgs. 39/2013, sia qualificabile quale ente di diritto privato in controllo pubblico” scrive l’Anac.

Falco e Curzi attaccano duramente il sindaco Piunti e l’Amministrazione tutta, parlando di “omissione di atti di ufficio da parte di chi avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto, a partire dal Sindaco, neanche a seguito di reiterate diffide da parte dei consiglieri comunali e con buona pace degli organi anticorruzione dell’Ente comunale”.

“Per far questo è stato rimosso in tutta fretta il dirigente alle partecipate dell’epoca (Roberto De Berardinis, ndr), che era intento a redigere l’appello, dopo averlo sottoposto a ben tre pretestuosi procedimenti disciplinari, di cui uno finalizzato al licenziamento”.

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“Pensiamo che sia il caso, a costo di far gridare all’accanimento e di farci accusare di essere fissati sulla questione (non finiremo mai di rimarcare l’importanza strategica, economica, occupazionale e ambientale della società partecipata de quo per questa città), di fare qualche precisazione sull’argomento Picenambiente.

Questo dopo le ultime aberrazioni, non solo giuridiche ma anche logiche, ascoltate di recente in commissione e poi in consiglio comunale.

Diciamo subito che la sentenza del Tar, definita da alcuni colleghi di maggioranza addirittura “perentoria”, non ha statuito, né sarebbe stata competente a farlo, che la Picenambiente non è una controllata. Invece, poiché sia il socio privato che la società stessa, ove l’amministrazione del nostro Comune, insieme agli altri soci pubblici, detiene la maggioranza delle quote e dei voti in consiglio di amministrazione, hanno impugnato “furbescamente” la delibera consiliare votata all’unanimità, che disponeva l’adeguamento alla legge Madìa e l’applicazione della disciplina riservata alle società controllate, ha annullato detta delibera del Consiglio Comunale 61 del 15 dicembre 2018.

Dunque la sentenza, ma in effetti trattasi di due sentenze-fotocopia del Tar, una su ricorso dei soci privati e una su ricorso della stessa Picenambiente, sono state fatte passare in giudicato. E nessuno ancora è in grado di risponderci in modo congruente (che pretese!), su come si possa non fare appello contro una sentenza del Tar che annulla una deliberazione del Consiglio comunale approvata all’ unanimità, contraria per di più alla deliberazione della Corte dei Conti-Sezione Regionale di controllo per le Marche n. 46/2018/VSG che, su richiesta formale del Comune di Grottammare, ha stabilito espressamente che per la società mista pubblico-privata Picenambiente spa ricorrevano le condizioni del controllo pubblico di cui all’ art. 2, co.1 del Tups (D.Lgs. 175/2016 così come mod. ed int. dal D Lgs.100/2017).

Lo statuto della società stabilisce, senza che siano necessari patti parasociali aggiuntivi, il controllo pubblico su Picenambiente spa.

Se poi, “per fatti concludenti”, i rappresentanti dei comuni in seno al Consiglio di Amministrazione della società, non avessero esercitato concretamente e di fatto il controllo pubblico, per il cui esercizio erano stati nominati, ciò comporterebbe che, secondo logica e giustizia, avrebbero messo in atto una grave, reiterata e prolungata omissione di atti di ufficio, con i conseguenti eventuali danni erariali dolosi.

Di fronte a una maggioranza consiliare e una giunta così vergognosamente arroccate a difesa di ogni proprio atto e comportamento non conforme alle norme giuridiche, le uniche armi e (auspicabili) rimedi consistono nel rivolgersi alla magistratura (penale e contabile) e pretendere giustizia, cosa che è stata fatta già due anni or sono e di cui attendiamo gli esiti.

Entrando nel merito del contenuto delle sentenze del Tar Marche in oggetto, esse non motivano nulla, limitandosi a prendere atto che sull’argomento del controllo pubblico la Corte dei Conti ha espresso inizialmente due orientamenti:

  1. A) uno più aderente al dato letterale della norma, per cui basta che i soci pubblici posseggano la maggioranza delle quote azionarie della società mista (pubblico-privata), per cui la partecipata è ipso iure soggetta a controllo pubblico;
  2. B) un altro, in verità già ampiamente superato e sconfessato dalla stessa Corte dei Conti a Sezioni Unite già all’epoca dell’emissione della sentenza del Tar, nata da una pronuncia relativa alla Multiservizi di Ancona, la quale diceva che non bastava la maggioranza azionaria per stabilire il controllo pubblico, ma occorreva che i patti statutari e parasociali lo stabilissero espressamente.

Il Tar sembra aver ignorato che il secondo orientamento non era più una strada percorribile, condividendolo nella sentenza emessa quando era ormai superato e cassato dalla giurisprudenza della Corte dei Conti.

Oltretutto lo statuto di di Picenambiente (di gran lunga antecedente alla cosiddetta legge Madia sulle partecipate) già stabiliva che la stessa dovesse essere controllata dai soci pubblici, a cui assegnava a tal fine la maggioranza nel Cda e la presidenza della società medesima.

Pertanto il ricorso in appello era un atto dovuto:

1) poiché la delibera consiliare del Comune di San Benedetto, annullata dal Tar, era stata approvata all’unanimità,

2) poiché era conforme a quanto deciso dalla Sezione Regionale di controllo della Corte dei Conti, proprio sulla Picenambiente.

Anche l’Anac, cui due anni or sono era stato da noi e da diversi altri consiglieri di minoranza inviato il medesimo esposto, così come a Procura, Corte dei Conti, Guardia di Finanza, Mef,  analizzati i documenti ed in primis lo statuto, giunge alla medesima conclusione: …occorre precisare che l’art. 1, co. 2 lett. C) identifica gli enti di diritto privato in controllo pubblico non solo in quei soggetti giuridici sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., ma anche in quegli enti “nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”. Si fa poi riferimento all’articolo 11 dello Statuto di Picenambiente, che a proposito della composizione dell’Assemblea, prevede una sezione riservata ai rappresentanti degli azionisti pubblici, disponendo che “per rafforzare il nesso di controllo sulla società da parte di tutti i soci enti pubblici, a prescindere dalle quote azionarie possedute, due consiglieri di amministrazione sono nominati dai soci Enti pubblici con quote azionarie fino al 6%”, e che “la nomina dei restanti consiglieri spettanti ai soci Enti pubblici sarà effettuata dagli altri soci Enti pubblici in proporzione alle azioni possedute e intervenute dai soci nella loro sezione” e infine che il presidente dell’assemblea stessa sia “obbligatoriamente scelto tra i consiglieri nominati dal socio Ente pubblico di maggioranza relativa (comune di San Benedetto del Tronto) intervenuto in assemblea, su designazione dello stesso”.

Dunque, aggiunge l’Anac, secondo quanto stabilito nello statuto, i soci pubblici hanno il potere di nominare la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione. Pertanto, si ritiene che la società Picenambiente, ai fini dell’applicazione del d. lgs. 39/2013, sia qualificabile quale ente di diritto privato in controllo pubblico secondo la definizione di cui all’art. 1, co. 2 lett. C).”.

Il controllo pubblico su Picenambiente non è stato esercitato “per fatti concludenti” dai rappresentanti dei comuni nel Cda e dal presidente nominato dal Comune di San Benedetto, ma tutto ciò, lungi dal negare la sua natura di controllata, non farebbe che suffragare una omissione di atti di ufficio da parte di chi avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto, a partire dal Sindaco, neanche a seguito di reiterate diffide da parte dei consiglieri comunali e con buona pace degli organi anticorruzione dell’Ente comunale.

Appare anche chiaro, e lo abbiamo ribadito in consiglio, che la maggioranza consiliare abbia approvato solo fintamente la delibera consiliare sul controllo pubblico di Picenambiente, mentre invece il comportamento tenuto in seguito, conferma l’assoluta determinazione a mantenere lo status quo e procrastinare una situazione di assenza totale e sostanziale di controllo, molte delle cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti in termini di servizi scadenti per i cittadini, che non giustificano i correlati costi esorbitanti di esercizio e gestione.

E per far questo è stato rimosso in tutta fretta il dirigente alle partecipate dell’epoca, che era intento a redigere l’appello, dopo averlo sottoposto a ben tre pretestuosi procedimenti disciplinari, di cui uno finalizzato al licenziamento.

E per finire, una domanda (retorica): come potevano le clausole statutarie di Picenambiente, risalenti al 2013, (anno in cui ebbe luogo la gara  per la scelta del socio privato, presieduta dal soggetto poi nominato presidente della società), prevedere e regolare ciò che la osiddetta legge “Madia” ha stabilito solo nel 2017? Eppure, in qualche modo, lo avevano previsto già nel 2013.”