La pandemia dovuta al Covid ha visto la collaborazione di ricercatori, scienziati e relativi enti di ricerca comprese le Università, per dare un supporto alla lotta al virus.

Tra i tanti supporti arrivati dalle Università, tra cui ha partecipato la Scuola di Architettura “E. Vittoria” di Ascoli Piceno producendo con le proprie stampanti 3D gli adattatori alle maschere da sub di una nota catena di articoli sportivi c’è quello del ricercatore  italiano Carlo Ratti, che insegna presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston, Usa, dove dirige il Mit Senseable City Lab, che ha creato un progetto open source per creare unità di terapia intensiva plug-in (Icu) dai container denominato C.U.R.A., in 4 settimane dallo scoppio della prima ondata a marzo.

Può un approccio progettuale a un problema architettonico diventare un approccio all’intero problema Covid-19?

Vediamo di analizzare alcuni punti da cui sono partiti i progettisti.

Prima di tutto l’idea di condividere fin da subito il progetto su un sito e renderlo open resources, essendo un problema complesso deve avere apporti da più settori, logistico, medico, architettonico.

Il problema diffuso, degli ospedali è quello di non avere i posti di terapia intensiva, che attualmente si fanno con strutture di emergenza, che partono da due approcci differenti e opposti. Il primo è quello di costruire tende da campo esterne o interne a strutture già esistenti, con il problema che il virus circola liberamente e le condizioni lavorative sono difficili; il secondo strutture prefabbricate che lavorino con compressione negativa (il virus entra ma non esce dalla stanza) le così dette stanze di terapia intensiva di biocontenimento.

La domanda dei progettisti è stata quella se si potesse progettare una struttura veloce da montare come una tenda da campo ma sicura come una stanza di terapia intensiva e la risposta grazie all’apporto di architetti, ingegneri, medici e aziende è arrivata abbastanza rapidamente trasformando un container in una unità di terapia intensiva.

Perché un container? Perché è un oggetto che già abbiamo a disposizione, è già collaudato per essere trasportato in tutte le parti del mondo tramite aria, mare e terra in maniera standardizzata.

La sua facilità di trasporto è l’altra peculiarità. Colpendo la pandemia in maniera e ad ondate diverse in differenti parti del mondo, il fatto di poterli spostare dove occorre, limita anche l’utilizzo di risorse distribuendole meglio.

Grazie alla “formula” dell’open resources condiviso sul sito molte nazioni hanno potuto prendere i disegni del progetto, migliorarlo, adattarlo alle proprie esigenze e costruirlo nella propria nazione immediatamente, accorciando i tempi, si pensi che dall’idea al primo prototipo utilizzabile a Torino sono passati solo 4 settimane.

Da questa esperienza progettuale si possono mettere in evidenza alcuni aspetti per affrontare il problema della pandemia: il virus è veloce e mutevole, come i tempi e i problemi che viviamo, occorrono risposte e soluzioni idonee, quindi immediate e flessibili, proprio come il progetto qui velocemente illustrato.

Le risposte date dal nostro sistema al di fuori dal lockdown totale iniziale, che non conoscendo ancora bene il virus poteva essere la soluzione migliore, sono state lente, farraginose, “pachidermiche”, costose (penso ai due ospedali in fiera a Milano e Civitanova Marche) e lucrose (penso ai vari scandali sui dispositivi per la fornitura di protezione).

Il sistema C.U.R.A. ha in sé l’approccio idoneo a un nuovo tipo di problema di tipo “architettonico”, mettendo da parte i personalismi, anzi enfatizzando la cooperazione tra i saperi, ma potrebbe essere utilizzato per qualsiasi tipo di problematica della nostra era che si muove in maniera troppo veloce per utilizzare vecchi approcci.

Come disse Rahm Emanuel capo di gabinetto di Barak Obama all’epoca del crollo finanziario del 2008: “Mai sprecare l’occasione di una grave crisi, dà l’opportunità di fare cose che non avresti potuto fare prima”.