SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Nel comprensorio di San Benedetto il 90% dei centri diurni per disabili ha riaperto le porte ai propri iscritti, adottando tutti i protocolli di sicurezza per il Covid-19. Un’eccezione è rappresentata dal centro diurno San Giuseppe, che ha scelto di protrarsi alla chiusura con tutto quello che ne consegue per i diritti dei disabili e delle loro famiglie ad avere un’assistenza degna e civile”.

Questo è il contenuto di una lettera che una familiare di un disabile del centro diurno sambenedettese, in rappresentanza anche delle altre famiglie, ha inviato a inizio settembre al Ministero della Salute. Un’altra, invece è stata spedita a diversi enti e autorità pubbliche locali già a luglio, fra le quali l’Asur Marche, l’Area Vasta 5 nella persona del direttore Cesare Milani e al sindaco di San Benedetto Pasqualino Piunti.

Rissumiamo la storia. Il centro diurno San Giuseppe, che si affaccia su Viale De Gasperi a pochi passi dal Comune di San Benedetto, è una struttura per malati gravi, che ne usufruiscono, come suggerisce il nome, solo di giorno. Si tratta di una realtà separata anche nella gestione (affidata alla Kos Care di Milano), sia rispetto alla Rsa San Giuseppe, sia rispetto all’altro centro diurno che insiste nella struttura: il “Giardino dei Tigli”, che ospita invece 15 disabili e “che ha ripreso regolarmente le attività il 1 luglio” scrive nella sua lettera la “caregiver”. Il centro diurno San Giuseppe, invece, non ha riaperto dopo la sospensione dei servizi dovuta all’emergenza Covid con notevoli difficoltà per le famiglie dei 17 malati che ne usufruivano, le quali, nei fatti, accudiscono personalmente i loro familiari 24 ore su 24 dall’inizio del “Lockdown”.

“Noi familiari siamo rimasti stupiti dall’assenza della autorità competenti chiamate a vigilare sulla corretta erogazione dei servizi da parte delle strutture convenzionate a cui si aggiunge l’assenza di assistenza domiciliare e di qualsivoglia indagine per accertarsi dello stato psico-fisico dei malati. Nel nostre richieste di aiuto cadute nel vuoto” si legge in un altro passo della lettera inviata al Ministero. 

Altre domande vengono invece fatte alle autorità sanitarie locali, fra cui Area Vasta 5 e Asur Marche, nella lettera di luglio. “Perché due aziende distinte ma operanti nella stessa struttura prendono decisioni così diverse circa la riapertura dei servizi?” si chiede la caregiver in rappresentanza di tutte le 17 famiglie. “Il Coronavirus ha colpito tutti, ma alle famiglie di questi malati ha tolto ogni speranza costringendole a un lavoro continuo, disperato e spesso portato avanti senza le giuste competenze del caso per accudire un malato grave” prosegue la lettera alle autorità locali. “La salute è un diritto di tutti, non un privilegio per pochi” uno dei passaggi più significativi che evidenziano queste famiglie, da mesi costrette ad accudire senza sosta dei malati gravi e non autosufficienti dovendo anche conciliare all’assistenza familiare, parallelamente, le necessarie esigenze lavorative quotidiane.

Una settimana fa le famiglie sono state contattate da un responsabile del centro con la comunicazione che lo stesso avrebbe riaperto, ma solo al 50% della capienza, agli inizi di ottobre. “Ma la stessa telefonata l’abbiamo ricevuta a giugno e ci dissero che in quel mese il centro avrebbe riaperto per 5 persone su 17  senza che poi ci fosse seguito a questa comunicazione, col centro che resta chiuso ad oggi” ci dicono le famiglie che però hanno dei dubbi. “Non capiamo, nel caso dovesse riaprire effettivamente, quali saranno i criteri per scegliere il 50% dei malati e inoltre, visto quello che è successo a inizio estate, non abbiamo nessuna certezza che possa riparire effettivamente a inizio ottobre, non abbiamo avuto più notizie dopo la telefonata che risale ormai a una settimana fa”.

Pubblichiamo questa storia mostrando solidarietà verso queste famiglie nella speranza che la loro già grave situazione, precipitata ulteriormente con la sospensione di un servizio che toglieva un po’ di pressione alla già difficile vita di un caregiver, possa trovare una soluzione.