PUBBLICITA’ ELETTORALE  – Di seguito pubblichiamo il video e un testo promozionale della campagna elettorale della candidata al consiglio regionale per la Lega Monica Acciarri.

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I miei impegni per il Piceno e le Marche

Credo fermamente che se i territori del Piceno faranno squadra si potrà vincere la sfida che terremoto e Covid ci hanno imposto. E’ per questo obiettivo che mi sono candidata scegliendo in particolare tre grandi temi che appunto riuniscono le istanze complessive di tutti i territori: Sanità, Ricostruzione e Infrastrutture.  La forza di cambiare poggia le sue basi solo su una Regione giusta, con una sanità efficiente e vicina ai cittadini, Forte, perché sa valorizzare i talenti e le competenze, Vicina ai territori, per una ricostruzione veloce e a burocrazia zero, una Regione solidale e capace di futuro, dove nessuno resta solo o resta indietro.

 

 

Una sanità di prossimità, giusta ed efficiente

 Lavoriamo per una Sanità regionale che elimini le diseguaglianze create da questo centro-sinistra. La prima delibera sarà sulle Case per la salute, cioè il front office al pronto soccorso che elimina le le attese per i cittadini. Vogliamo un sistema sanitario amico dei cittadini e degli operatori sanitari, reti cliniche vicine ed efficienti, procedure più snelle e meno burocrazia. Potenzieremo l’ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno e costruiremo un nuovo ospedale a San Benedetto nei pressi del raccordo autostradale creando per il suo raggiungimento una viabilità più favorevole. Sarà poi con l’ascolto della comunità sambenedettese che valuteremo quale potrà essere la riconversione dell’ospedale Madonna del Soccorso.

L’ospedale di vallata è la favola che si sono inventati Ceriscioli e la Casini e che hanno pensato di raccontare ai “bambini” del Piceno. Le nostre barricate di fronte all’ospedale Mazzoni e al Madonna del Soccorso hanno infranto i loro giochi dettati da singolari interessi che nulla hanno a che vedere con una sanità moderna, efficiente e al servizio dei cittadini.

 

Investimenti e infrastrutture per tornare connessi al futuro

 Metteremo in campo investimenti per realizzare infrastrutture fisiche e digitali per far risalire il Piceno e le Marche dallo stato di regione in transizione, equiparata al sud Italia dall’Unione Europea. Questo darà impulso alla crescita economica e a nuova occupazione.

Tra le priorità: realizzazione della terza corsia dell’A14, alta velocità ferroviaria con fermate a San Benedetto del Tronto, connessione con la Ferrovia dei 2 mari (Piceno-Roma) con progetti innovativi come i treni a idrogeno e a levitazione magnetica, sviluppo del porto di San Benedetto del Tronto con collegamenti veloci con la Croazia.

 

 

 

Ricostruzione e rilancio dell’entroterra: concreti e veloci!

 A 4 anni dal sisma, il fallimento della PD è immortalato nella situazione in cui ancora vivono le popolazioni del cratere. La giunta uscente ha solo pensato a fare passerelle. Vogliamo restituire dignità agli abitanti colpiti da sisma e avviare una ricostruzione veloce che sia anche l’occasione per rilanciare l’entroterra, facendo tornare famiglie, imprese, giovani e turisti nelle nostre bellissime zone appenniniche, recuperando una parte fondamentale della nostra storia.

 

Il presidente e la nuova giunta regionale non dovrà chiedere con il cappello in mano, dovrà esigere il rispetto delle nostre comunità piegate dal terremoto fisicamente e nella dignità per la mancata presenza dell’istituzione Regione a Roma. Noi Piceni, noi Marchigiani, non ci stiamo ad essere trattati come cittadini di Serie B. Per noi il sistema Genova prenderà piede il 25 settembre, subito dopo la conclusione delle elezioni. Staremo fisicamente davanti e dentro a Palazzo Chigi finché non ci saranno decisioni concrete: chiederemo con forza che sia il Presidente della Regione a rimpiazzare il commissario Legnini nelle Marche così da lavorare alla ricostruzione con la stessa procedura attuata per il ponte di Genova. E’ solo così che si riporterà fiducia nelle gente di montagna, dei paesi ancora zona rossa per far tornare anche i giovani in quei luoghi, per poter non solo far immaginare una vita nuova, ma far vedere presupposti tangibili per realizzare il proprio futuro. Non si può immaginare questo percorso senza far interagire gli abitanti, le comunità, le istituzioni della costa con le aree interne, con persone di così grande dignità che racchiudono in sé talenti da non disperdere e una grande determinazione.

 

C’è poi un tema cruciale che fa da base ai punti precedenti: il lavoro

 

Le famiglie hanno guadagnano di meno ma hanno pagato più tasse, perché?

Occorre fare una panoramica per inquadrare il tema del lavoro

Nei quarant’anni che hanno preceduto la crisi del 2008, il Pil in Italia è più che raddoppiato ma il numero degli occupati è rimasto sostanzialmente stabile. Un risultato dovuto all’innovazione: processi più efficienti e aziende che producono quantità sempre maggiori di merci con un numero sempre minore di lavoratori.

E’ diminuita la dimensione media dell’impresa per numero di addetti, è aumentata la quota degli occupati nelle imprese minori sul totale e il sistema delle imprese si è andato e articolando in orizzontale.

 

Cambia il mercato del lavoro

 Profonda trasformazione dei rapporti di lavoro: meno lavoratori subordinati e più autonomi, perfino nel lavoro dipendente; meno durevoli, data la crescita dei contratti a tempo determinato e il calo di quelli a tempo indeterminato.

La conseguenza è che si sono indeboliti i profili di tutela dei lavoratori, e in tutte le economie occidentali (compresa l’Italia) le quote di lavoro flessibile è cresciuta, mentre quella di lavoro stabile è diminuita e i salari reali sono cresciuti assai meno della produttività.

Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz evidenzia la crisi delle economie avanzate, Italia in testa, che trova origine nei salari troppo bassi che non hanno potuto far crescere, insieme alla produttività, i consumi delle famiglie che sono la principale componente della domanda aggregata.  I salari reali diminuiscono, si verifica una caduta del potere d’acquisto dei lavoratori che genera, a sua volta, una contrazione dei consumi. E se si riduce la domanda, le imprese sono costrette a ridurre la produzione e, quindi, a utilizzare meno lavoratori nei cicli produttivi.

L’innovazione, in particolare la robotica, come molte ricerche internazionali hanno dimostrato, sui livelli occupazionali avrà un impatto inferiore a quanto si teme.

Il vero problema è la perdita di potere d’acquisto delle famiglie dei lavoratori.

Reddito reale diminuisce, invece cresce la tassazione

In Italia. Nei 10 anni successivi alla crisi del 2008 i redditi reali netti delle famiglie di lavoratori sono diminuiti del 9% (nelle Marche addirittura del 10%) mentre il gettito delle imposte dirette (sui redditi) è cresciuto del 4% e quello delle imposte indirette (iva e accise varie) del 13%.

Le famiglie hanno guadagnano di meno ma hanno pagato più tasse.

 

E’ la doppia morsa:

1) Le politiche fiscali “folli” hanno sprofondato 4 milioni di persone dal ceto medio all’area dei “poveri grigi” o quasi poveri, coloro cioè che pur avendo un lavoro faticano ad arrivare a fine mese, non possono curarsi e vanno in crisi difronte a qualsiasi evento negativo, anche minimo.

2) Poi la “svalorizzazione” del lavoro invece di puntare  sulle politiche attive del lavoro e non assistenziali. Le prime sono completamente mancate, le seconde sono state un disastro sotto tutti i punti di vista.

La famiglia, al tempo stesso è l’ultima frontiera della tenuta sociale, ma è stata abbandonata a se stessa.

I giovani sono sempre più dipendenti dalla famiglia di origine, impossibilitati a passare dalla condizione di figli a quella di genitori, e dove il contributo della pensione dei nonni è condizione necessaria ma spesso non più sufficiente.

Le difficoltà delle famiglie italiane originano nell’assenza di politiche che ne tutelino il ruolo e ne sostengano le funzioni.

Cosa serve.

Quota 100. Ridiscuterlo, perché costa troppo, è una follia. Anche perché i conti non tornano. Basterebbe analizzare il bilancio dell’INPS per capire che la previdenza nel nostro Paese potrebbe essere in equilibrio se solo avessimo un tasso di occupazione pari a quello europeo. Ma anche con il tasso attuale ciò che lo sbilancia è l’assistenza, che razionalmente dovrebbe essere trasferita sulla fiscalità generale e non pesare sugli oneri da lavoro.

 

La flat-tax per i redditi fino a 60mila o 70mila euro, per ridare forza al ceto medio, vero motore delle economie avanzate e principale bacino di approvvigionamento finanziario dei sistemi di welfare.  Costerebbe 13 miliardi ma sarebbe una leva per liberarne almeno 3 volte tanto, dando spinta ai consumi e quindi all’occupazione.