SERAFINO/SAMB. Il nome di Domenico Serafino come prossimo presidente della Sambenedettese Calcio e i nomi di probabili allenatori della Samb rimbalzano continuamente sulle cronache calcistiche, non solo locali, ma addirittura su molti giornali nazionali sportivi e non. Poi magari di 10 nomi di tecnici uno solo, e a volte nemmeno, risultano reali. Sicuramente non è normale per una società come la Sambenedettese che tanta visibilità non l’ha mai avuta. Vi siete chiesti perché?

Malignamente si potrebbe pensare che appartengono tutti alla stessa scuderia, la quale ha interesse a far girare i nomi dei propri ‘cavalli’, grazie anche ad una particolare influenza mediatica. Stessa cosa si potrebbe dire di calciatori che, se non hanno dietro una scuderia potente, si lamentano perché hanno più difficoltà a trovare una squadra. Insomma la bravura, alta serie “A” esclusa, è per il calcio attuale un optional o poco più. Chissà!

Se per qualcuno dei nostri lettori è  questo il calcio che gradisce, li consiglio di non continuare a leggere perché perderebbero tempo. Sono convinto però che per molti altri è un calcio che non piace affatto, per cui  continuo a scrivere.

Torniamo a noi e quindi alla cessione in corso della nostra beneamata Samb. Confermo che, se l’acquirente (Domenico Serafino al 95%) dà una certa cifra in contanti (diciamo circa 700 mila euro) a Franco Fedeli, evidentemente non vuole buttarli e tanto meno gli farebbe piacere rinunciare alla caparra, se non versa il saldo sempre in contanti. Immagino che il potenziale neo presidente lo consideri un investimento che, come dice la parola stessa, sarà alla base di un progetto con il quale recuperare la somma e magari trarci anche profitto. Niente di male, tutto lecito fin qui.

Un’altra domanda però è d’obbligo: come?

Ci sono tanti modi, dico per primo quelli che mi piacerebbero. Quello di investire ancora su calciatori (non raccomandati), scelti da un proprio diesse con comprovate capacità e senza alcun genere di intrallazzi. Soltanto il passaggio in serie B, o almeno competere per arrivarci, può permettere infatti un consolidamento societario e un punto di partenza per fare calcio professionistico e trarne magari ricavi. Innanzitutto per la visibilità che, in termini economici, traduco in Tv a pagamento.

Poi con l’arma che le sagge società provinciali  usano da sempre, Samb compresa prima di Venturato (1993). Lo spiego con le parole di un tecnico, oggi ottantenne, con il quale ho dialogato la settimana scorsa, Giorgio RumignaniQuando vado in una squadra il mio primo pensiero è questo: se faccio esordire un giocatore e lo valorizzo già mi sono guadagnato lo stipendio”.

Prima il settore giovanile, sempre gestito dalla proprietà e non da terzi, era lo strumento principale per mantenersi in certe categorie ed era gestito senza dipendere da certi “personaggi” del calcio italiano che, con molte società di serie C, ci giocano a pallette. Chiaramente per i propri interessi personali.

Adesso i settori giovanili sono invece diventati  un modo losco per far soldi. Come invece onestamente ci sopravviveva la Samb di una volta: vedi Udinese (Sestili), Juventus (Causio), Inter (Matteucci), Bologna (Castronaro), Foggia (Ripa), Spal (Olivieri), Alessandria (Traini Gigi), Cagliari (Persico).  O valorizzandoli per rivenderli a caro prezzo: Roma (Odorizzi), Genoa (Basilico), Ternana (Traini Nicola), Milan (Ferron), eccetera. Ne ho citato uno per squadra ma molti altri ci sono stati e chi ha una certa età lo sa bene. Insomma questo è il calcio che mi piace.

Vorrei che tornassero quei tempi e che nella mia città non si facesse più calcio così:

  1. Con presidenti che appena arrivati dicono che la Samb è per loro da sempre la squadra più simpatica del mondo. Cosa per esempio che non ha mai detto Franco Fedeli e il fatto che ci abbia ridato cinque anni di calcio giocato e parlato ne è la testimonianza. Fatti non parole.
  2. Con settori giovanili dai quali si ricava denaro, non vendendo i propri ragazzi dopo averli lanciati, ma con altri metodi per me riprovevoli.
  3. Con tifosi che ritengono la squadra per cui tifano una cosa loro e non una squadra o società da elogiare e criticare ma senza rendersi strumenti di ricatto o altro.
  4. Con allenatori e calciatori scelti da mediatori-faccendieri.
  5. Con dirigenti e tecnici che non dialogano con la stampa democraticamente ma che provano ad intimidirla per poterla usare a proprio piacimento.
  6. Con calciatori che non si immergono nel territorio fino a sentirsi estranei. La colonia di ex rossoblu sessantenni e settantenni, diventati sambenedettesi è molto ricca a dimostrazione che prima non era così.
  7. Con un dirigente (Cinciripini) che vieta di far conoscere meglio i propri beniamini non facendoli parlare pubblicamente, se non tramite versamento di denaro. In serie “C” non ci sono Sky e altre Tv, cioè emittenti a pagamento che devono giustificare il proprio essere ai vari abbonati.

Ci sarebbero altre cose che non mi piacerebbero ma mi fermo qui.

Oggi, visto lo sforzo economico, credo che Domenico Serafino la pensi come me, per cui mi auguro  e gli auguro che, con lui, la Samb inizi un nuovo cammino calcistico ancora migliore di quello regalatoci dalla famiglia Fedeli nell’ultimo quinquennio.