Riceviamo e pubblichiamo

Gent.mo Direttore

Pensandoci bene le emozioni nell’articolo “intrappolati nel confine…” (con migliaia di visualizzazioni) mi hanno ricordato per certi versi lo spirito del comitato “Città Grande” e la proposta di ottimizzazione dei palazzi municipali delle Marche sud, con l’unica differenza in  questo caso che la trappola amministrativa è il confine regionale anziché comunale. Ad ogni modo la giovane autrice ha posto l’accento sui paradossi che si creano nelle aree omogenee/funzionali non riconosciute istituzionalmente.

Tuttavia dalla Società Geografica Italiana (SGI) fino all’ISTAT le proposte per migliorare la governance territoriale della penisola non mancano. Ma non è questo il momento di soffermarsi sui tecnicismi.

E nel rispetto dell’articolo 114 della Costituzione non possiamo biasimare le misure restrittive prese in emergenza dal Governo. Dopotutto interpretare i confini amministrativi richiede tempo e condivisione.

Nella consapevolezza che aggregare (o fondere) enti burocratici rimanga la soluzione tecnicamente migliore ma elettoralmente peggiore, vorrei solo invitare i lettori a riflettere sulla percezione della identità territoriale considerando che il Piceno, come altre zone di confine, si contraddistingue per la straordinaria ambiguità tra quotidiano e gestione politico-amministrativa.

Non a caso intere generazioni sono nate in una regione ma risiedono nell’altra; studiano, lavorano, praticano sport e si innamorano in un ente ma dormono nell’altro.

Gli abitanti dei più vicini comuni abruzzesi sono addirittura un ulteriore peso per le casse della propria regione quando si curano ad Ascoli o a San Benedetto del Tronto.

E quando un residente reitera un delitto nel comune vicino, il delitto viene registrato per l’ennesima volta in un calderone statistico al quale sfugge la diretta correlazione interregionale.

Dunque più di altri sappiamo quanto i confini amministrativi generino mille contraddizioni ma spesso dimentichiamo che i margini territoriali sono sempre stati mutevoli e volatili.

Gli attuali confini regionali, per esempio, furono pensati prima dell’unità d’Italia come una raccolta provvisoria di statistica socioeconomica. La Costituente li rispolverò quasi un secolo dopo…

Alquanto bizzarra la genesi anche dei confini provinciali spesso determinati dal criterio della giornata a cavallo: se raggiungevi la prefettura e tornavi all’imbrunire a casa, si stabiliva che quella era la tua provincia.

Per non parlare dell’alterazione dei confini comunali solo per becere negoziazioni, per capricci nobiliari o per annessioni territoriali come nel caso della località Porto d’Ascoli passata da Monteprandone a San Benedetto del Tronto. Qualcuno obietterà che sono scelte figlie dei tempi, ecco appunto!

Nel frattempo questi organismi sono diventati il simbolo della cultura e delle tradizioni locali. Una sorta di transfert, per dirla alla maniera della Psicoanalisi, che talvolta però ingabbia la mente. Dove, insomma, un individuo o  una comunità, inconsapevolmente e per forti connessioni infantili tende a spostare sentimenti ed emozioni dalle persone/paesaggi verso un marchio istituzionale eretto a figura totemica.

Pertanto modificare la natura di questi enti, qualunque esso sia, è percepito come l’annullamento della propria identità, della propria memoria e dei propri cari.

Peccato però che tali convinzioni siano spesso radicate nei territori con la maggiore storia e blasone ma che purtroppo risultano essere anche quelli più colpiti dallo spopolamento e dall’emigrazione giovanile.

Ironia della sorte, tutto questo avviene mentre il più autentico simbolo identitario della comunità, il lavoro contadino o peschereccio viene svolto prevalentemente da cittadini stranieri.

Il segretario FCCN

Carlo Clementoni