Dal famoso decreto #iorestoacasa sono ormai passati quasi due mesi. Cinquantasette giorni di valutazioni per lo più di ambito scientifico e sanitario, prese d’atto di problemi sistemici e strutturali del Paese, ipotesi di cambiamenti da attuare nell’immediato per sbloccare una situazione pericolosa.

Dall’essere chiusi in se stessi, nei propri confini, nelle proprie difficoltà, si studia a come passare pan piano ad essere aperti, verso gli altri e verso nuovi confini, necessariamente senza infrangere quelle barriere corporali che ci garantiscono sicurezza individuale e collettiva.

Due mesi complicatissimi e di grande travaglio. Ma che semplicemente non possono finire così. Con inni alla ricostruzione e al ritorno al passato. Non ce lo meritiamo e non lo meritano coloro che hanno perso e sacrificato la loro vita in questa pandemia.

Vittorio Emanuele Parsi, esperto di relazioni internazionali, ordinario della Cattolica di Milano, ha lanciato proprio questi giorni un e-book dal titolo Vulnerabili: come la pandemia cambierà il mondo, in cui analizza tre possibili scenari per il prossimo futuro. Restaurazione, Fine dell’impero romano di Occidente e Rinascimento.

Si passa dall’illusione di poter ripartire ricominciando da dove eravamo prima del Covid-19, evoluzione che si rivelerebbe di scarso respiro e destinata a sommare ai danni della Fase 1, probabilmente i danni generati da una cattiva gestione della Fase 2 (Restaurazione), ad uno scenario in cui la globalizzazione si riduce e si trasforma in sfere di influenza economica e politica chiuse le une verso le altre (Fine dell’impero romano d’Occidente), evoluzione che ci lascerebbe privi di un modello e senza possibilità di multilateralismo. Fino ad arrivare ad una visione più ottimistica e di gran lunga più auspicabile, di fare tesoro degli errori commessi finora e costruire, dalle fondamenta, un nuovo sistema di interdipendenze meno sfavorevoli all’essere umano (Rinascimento), in ottica di nuovo umanesimo. 

L’analisi del professor Parsi, con il quale ho anche avuto la fortuna di studiare quando ero iscritta alla facoltà di Scienze Politiche a Macerata, tanti anni fa, mi sembra non solo illuminante, ma soprattutto necessaria. La pandemia ci ha svelato chiaramente e senza mezzi termini, una lunga catena di sconfitte che il nostro sistema ha accumulato in settori chiave della nostra convivenza civile. Trasformare la formula del “Nuovo Umanesimo” da slogan di propaganda elettorale, a una ipotesi di ripensamento relazionale fondante di un nuovo modo di vivere civile, mi appare così urgente, che non vorrei gridare da qui a qualche mese, alla più grande occasione persa che la Storia ci aveva offerto per salvarci da noi stessi. Sarebbe davvero un boccone amaro. Dopo tutti questi sacrifici.

Di fronte all’ipotesi di un controllo sociale diffuso, necessario di fronte ad una massa ingovernabile, vorrei che si reclamasse una nuova idea di educazione, istruzione e cultura. L’unica che possa esorcizzarlo. Perché all’ordine del giorno della politica non ci siano le tabelle excel in cui si pensa a come dividere le classi e sezionare la didattica frontale e quella a distanza, ma si ripensi in toto l’istruzione, in modo che ci preservi da una nuova generazione di governanti ignoranti e poco lungimiranti. La digital transformation non impone un cambio di passo tecnico, ma mentale. Di cui però non sento parlare affatto. Con tanta amarezza nei confronti dei nostri bambini lasciati praticamente a se stessi. 

Di fronte ad una generazione completamente compromessa, quella che subisce i danni della formazione e che è casa priva di un lavoro che neanche ha avuto il tempo di inventarsi, la famosa generazione Z, vorrei che si reclamasse un loro nuovo coinvolgimento, di sicuro preziosissimo. La loro chiave di lettura di un momento storico che forse li priverà per sempre di esperienze che noi più grandi abbiamo avuto modo di fare in tempi di spensieratezza collettiva, come può non essere al centro della definizione di una nuova idea di futuro? 

E così via per ogni aspetto del nostro vivere sociale che ci coinvolge come essere umani, prima che come pedine di un sistema. E’ chiaro che la politica ha un ruolo di responsabilità enorme in questo momento. Perché può decidere se rifondare una nuova idea di uomo, o limitarsi a risalire la china. Limitandosi a cambiare volto al presente. Mi pare chiaro cosa ritengo sia auspicabile per continuare ad avere fiducia nel Paese. 

Rinascere è ciò che ci meritiamo. Riaprire e ripartire ne sono una diretta conseguenza. E’ vero che, diversamente da una nascita che matura da una gestazione e origina improvvisamente un punto circoscritto nel tempo da cui poi tutto evolve, le rinascite sono maggiormente imprevedibili e spesso travagliate. Sono conseguenze di un parto meno immediato, meno circoscritto temporalmente, i segni delle contrazioni più dolorosi, però è anche vero che quando arrivano, alla fine si impongono da sé. E quando lo fanno, hanno veramente la forza di cambiare ogni cosa.

Saper riconoscere una rinascita è indubbiamente un atto di coraggio. Riuscire a testimoniarla, però, è una questione di fede.

E se non possiamo essere visionari ora, allora quando?