SAN BENEDETTO DEL TRONTO – E’ il “Madonna del Soccorso” l’ospedale dell’Area Vasta 5 della Regione Marche individuato come “Covid-19”, ovvero atto ad ospitare e curare pazienti affetti da infezione coronavirus. Abbiamo però raccolto nelle ultime ore malumori fra gli infermieri (ovviamente non si tratta di un problema solo sambenedettese) a causa della carenza di Dpi (Dispositivi di Protezione Individuale), ovvero mascherine (chirurgiche o Ffp2 e Ffp3), guanti, camici impermeabili, protezione facciale.

Sono infatti ben 408, secondo gli ultimi dati, gli operatori sanitari posti in isolamento domiciliare nelle sole Marche, per il solo fatto di aver avuto contatti con pazienti affetti da Covid-19.

Ad Ascoli ad esempio il paziente deceduto nella giornata di domenica 15 marzo era stato precedentemente ricoverato in un reparto di malattie respiratorie ma soltanto due giorni prima del decesso si è avuta conferma della positività al Covid-19, con il rischio (lo si saprà presto) che personale infermieristico abbia contratto l’infezione prestandogli assistenza.

Lo scorso 22 febbraio, proprio nel momento in cui si registravano i primi casi coronavirus in Italia, il Ministero della Salute diffondeva “nuovi indicazioni e chiarimenti” in merito a come svolgere le attività di cura rispetto a casi accertati o sospetti di Covid-19: Documento Ministero Ambiente.pdf .

Di seguito il passaggio in cui si indicava come doveva comportarsi personale sanitario che entrava in contatto con un “caso sospetto o confermato”.

Mentre le mascherine chirurgiche proteggono non chi le indossa ma le persone che entrano in contatto con l’eventuale portatore di infezione Covid-19, quelle Ffp2 e Ffp3 proteggono anche chi le indossa anche quando entra in contatto con un malato (con una percentuale di filtraggio tra il 90 e il 98%).

Come facciamo a sapere se un paziente è affetto da Covid-19 se non ha effettuato il tampone? Noi lo curiamo ma non abbiamo a disposizione le mascherine Ffp2 e Ffp3 e se quella persona entra come affetto da patologie respiratorie ma non Covid-19 e si scopre successivamente la sua positività, noi ci esponiamo all’infezione avendo a disposizione solo mascherine chirurgiche” ci hanno detto alcuni infermieri dell’ospedale di San Benedetto, prima ancora della notizia del decesso dell’uomo di Ascoli, avvenuta proprio all’ospedale “Madonna del Soccorso” dove era stato trasportato da due giorni, una volta accertata la positività.

Fatto sta che la carenza di maschere Ffp2 e Ffp3 e la difficoltà degli approvvigionamenti e della produzione a rifornire i quantitativi desiderati sia a livello nazionale che globale ha portato l’Istituto Superiore di Sanità, nel suo secondo aggiornamento sulla situazione del Covid-19 in Italia, a pubblicare delle “Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da Sars-Cov-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie” Scaricalo qui Indicazioni Dpi 14 marzo.

Nelle indicazioni, si legge, ad esempio, a pagina 6, che si raccomanda agli operatori sanitari chiamati a prestare assistenza diretta a pazienti Covid-19 dentro la loro stanza di indossare la mascherina chirurgica, mentre le Ffp2 e Ffp3 sono riservate a chi effettua procedure che generano aerosol o fanno il tampone (“o mascherina chiurgica se non disponibile Ffp2“).

Al momento del triage di accettazione, nel caso di pazienti con sintomi respiratori, “Mantenere una distanza di almeno un metro e mascherina chirurgica se tollerata dal paziente“. In “Ambulanza o mezzi di trasporto“, gli addetti alla guida che si prestano per “carico e scarico di paziente sospetto Covid-19” devono indossare la mascherina chirurgica (non essendoci a disposizione quelle Ffp2 e Ffp3).

A tal proposito lo scorso 10 marzo il dottor Mauro Di Fresco dell’Associazione Avvocatura Diritto Infermieristico ha inviato una lettera di diffida alla direzione dell’Area Vasta 5 lamentando la situazione in cui si trovano gli infermieri scrivendo: “Nonostante ciò, questi professionisti continuano a prestare assistenza ai cittadini, a dimostrazione della loro professionalità ed abnegazione; ciò però non permette di gettarli nel caos più totale”.

“Comunque, non appare a questa Associazione che delle mascherine possano essere considerate presidi impegnativi ed esosi che non possono essere affrontati dalle amministrazioni pubbliche per tutelare la salute di chi sta offrendo la propria vita e le proprie capacità per il bene collettivo – scrive Di Fresco nella sua lettera di diffida – Per tali motivi si invita chi di dovere a fornire, tempestivamente, tali mezzi di protezione, altrimenti si procederà nelle sedi opportune per far valere quanto di ragione. Si informa, peraltro, che la giurisprudenza in materia, giustifica il rifiuto di prestazione dell’obbligazione contrattuale sanitaria se si pone a rischio, concretamente ed imminentemente, la salute del prestatore di lavoro anche per il semplice pregiudizio” si legge.