SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Imponente operazione delle Fiamme Gialle nel nostro territorio, e non solo, compiuta in questi giorni da numerosi finanzieri.

Sono tre le province interessate dall’indagine di polizia giudiziaria in materia di “Caporalato” condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno nell’operazione “Campi elusi”.

Il tutto ha portato alla denuncia di 4 persone, al sequestro di disponibilità finanziarie per circa 14 mila euro, di una quota di immobile ad uso abitativo, nonché al “Controllo giudiziario” di un’importante azienda agricola.

Sotto la direzione della Procura della Repubblica di Ascoli Piceno, l’attività si è sviluppata in distinte località delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, che hanno visto la presenza delle Fiamme Gialle per l’esecuzione di perquisizioni presso aziende, magazzini, abitazioni e automezzi, determinanti il sequestro di diversa documentazione ritenuta d’interesse per acclarare l’impiego di braccianti agricoli, configurando il reato Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” del Codice penale.

Durante l’operazione, i finanzieri hanno acquisito documentazione negoziale, contabile ed extracontabile, quali contratti, agende, appunti e manoscritti evidenzianti anche l’entità delle paghe corrisposte ai braccianti, che hanno confermato l’ipotesi investigativa posta alla base della sussistenza di un reato considerato dal Legislatore in maniera severa, con la reclusione, a carico dei responsabili, da uno a sei anni e la multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore “reclutato e che, qualora in numero superiore ai tre, comporta l’aggravante specifica dell’aumento della pena da un terzo alla metà. 

Quattro le persone finite nel mirino delle indagini condotte dalla Compagnia di San Benedetto del Tronto, che hanno portato alla luce un sistematico impiego di manodopera in condizioni di sfruttamento, confermato anche dai blitz effettuati nelle prime ore mattutine nei campi di lavoro nelle campagne tra San Benedetto e Monteprandone, dove è stata rilevata la presenza di 8 lavoratori “in nero, di cui 7 di nazionalità straniera.

Illeciti poi confermati dalle testimonianze rese da numerosi braccianti agricoli e dall’analisi dei tabulati telefonici, oltre che dalle attività di osservazione, pedinamento e controllo esperite direttamente dai militari, arrivati ad individuare il preciso automezzo con il quale i braccianti, una volta reclutati, venivano accompagnati presso i campi di proprietà dell’azienda agricola.

Protagonista dell’intermediazione, il cosiddetto “caporale”, è risultato un 44enne di nazionalità pakistana, reclutatore in maniera organizzata e continuativa di braccianti agricoli, tutti di nazionalità indiana, bisognosi di un qualsiasi lavoro onesto che consentisse loro di poter far fronte alle primarie necessità di sostentamento, anche a costo della rinuncia forzata dei fondamentali diritti sanciti in materia di lavoro e che hanno portato l’azienda agricola ad impiegarli con paghe di entità tipiche di chi, prima ancora dei diritti, antepone i soli ed esclusivi interessi economici.

Dalle indagini è emersa, infatti, la sussistenza di numerosi indici sia dello sfruttamento, sia dello stato di bisogno dei braccianti, impiegati senza alcun contratto, con retribuzioni quantificate in circa 3,80 euro all’ora, ben al di sotto (oltre il 60%) rispetto a quelle dei 9,48 euro previste dalla contrattualistica collettiva nazionale e che non tenevano in considerazione nemmeno le maggiorazioni per le ore di lavoro prestate per gli straordinari, nelle giornate festive o in orari notturni.

Lavoratori, oltremodo, impiegati anche con turnazioni alquanto faticose, che, in alcune circostanze, arrivavano ad essere addirittura di circa 11 ore, il tutto in contestuali violazioni delle norme in materia di sicurezza, non garantendo nemmeno la dotazione dei dispositivi di protezione, necessari per prevenire gli incidenti sui luoghi di lavoro.

E non solo: dalla retribuzione, già nettamente inferiore al dovuto, ai braccianti veniva anche trattenuta una “quota” oraria di circa 50 centesimi, quale spesa forfettaria per il riconoscimento delle spese sostenute dal “Caporale” per il trasporto, il reclutamento e l’intermediazione, abbassandosi, così, ulteriormente i compensi di lavoro a 3,30 euro all’ora circa.

A corollario degli approfondimenti, tutti e quattro i soggetti individuati dalle Fiamme Gialle sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria e colpiti dal provvedimento di sequestro preventivo “per equivalente”, finalizzato alla confisca, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Ascoli Piceno, che ha riguardato l’automezzo utilizzato per il “Caporalato”, disponibilità finanziarie per circa 14 mila euro (rinvenute giacenti su 3 conti correnti), quota di un immobile ad uso abitativo sito in Monteprandone quale recupero dell’intero profitto ottenuto attraverso l’attività illecita.

Un’attività d’indagine che ha consentito, tra l’altro, anche l’applicazione, disposta dal Tribunale di Ascoli Piceno, del “Controllo giudiziario dell’azienda agricola riconducibile a tre dei quattro soggetti denunciati (il quarto è il “Caporale” di nazionalità straniera, che si occupava materialmente del reclutamento e del trasporto dei lavoratori stranieri, nonché dell’intermediazione della manodopera).

L’azienda agricola (che, tra il piceno, il fermano ed il maceratese si estende per oltre 37 ettari di vigneti e ulteriori 21 ettari di terreni seminativi e frutteti di proprietà) vedrà quindi ora la presenza, al proprio interno, di un amministratore giudiziario che affiancherà l’imprenditore titolare nella gestione, autorizzando lo svolgimento degli atti di amministrazione, verificando il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative e regolarizzando i lavoratori che prestavano la propria attività in assenza di regolari contratti.

Il servizio in rassegna costituisce un’ulteriore testimonianza della “vocazione sociale” caratterizzante le attività che la Guardia di Finanza promuove nelle proprie prerogative di polizia economica e finanziaria, nel qual caso precipuamente rivolte verso la difesa del lavoro dalle forme di illecito reclutamento e sfruttamento di manodopera (e, più in generale, da ogni forma grave di prevaricazione e violenza) a salvaguardia degli interessi fondanti della collettività.

Non mancheranno di essere trascurati, infine, gli aspetti d’interesse fiscale connessi alla vicenda, già compiutamente delineati dalla stessa Compagnia di San Benedetto del Tronto che, attraverso l’esecuzione di specifiche verifiche e controlli, formalizzerà le segnalazioni all’Agenzia delle Entrate ed anche all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, al fine di ricondurre a tassazione i proventi “in nero” con cui sono state corrisposte ai braccianti le retribuzioni per le prestazioni di lavoro non regolarizzate e non certificate e, contestualmente, ristabilire le condizioni di legalità previdenziale e contributiva.