SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La richiesta delle opposizioni consiliari sambenedettesi di un approfondimento in merito alle situazioni di due società partecipate quali la Picenambiente e il Centro Agroalimentare, al di là del caso specifico, impone di chiarire anche alcuni aspetti che con la recente sentenza del Tar Marche sembrano ancora più confusi nell’analisi anche di molti esponenti politici.

La sentenza ha stabilito che la Picenambiente, anche se la maggioranza delle quote sono di proprietà pubblica, resta una società non a controllo pubblico. E la legge si rispetta, ovviamente.

Ma ad un cittadino, più che la legge, interessa l’essenza delle cose. Prendiamo il Centro Agroalimentare: se l’ultimo Consiglio di Amministrazione non avesse presenziato ad una commissione consiliare, probabilmente alcune perdite enormi delle passate gestioni (anche oltre 800 mila euro) sarebbero passate inosservate. E ancora oggi è impossibile capire in che modo, nel Caap o in Picenambiente, vengano spesi denari che restano pubblici.

Il punto infatti è la Trasparenza, che in queste e in altre partecipate pubbliche si auspicherebbe fosse identica a quella che si applica per gli enti pubblici. Invece non sappiamo nulla di come, ad esempio, viene assunto nuovo personale o vengono decise le forniture.

Ad esempio dal sito del Centro Agroalimentare non riusciamo ad accedere a queste informazioni:

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Se andiamo nel sito della Picenambiente, che per il solo comune di San Benedetto vale circa 10 milioni all’anno, la situazione non è molto diversa. Addirittura nella sezione “Picenambiente Trasparente” (clicca qui) vi è un documento in cui le consulenze, le collaborazioni così anche i contributi e donazioni risalgono al 2016.

Basta spostarsi ad altra simile partecipata, Ascoli Servizi Comunali (che gestisce i rifiuti per Ascoli e per la discarica di Relluce), per vedere che la situazione non è differente: infatti sono pubblicati, pur non ben visibili, nell’home page del sito “L’elenco contratti pubblici di lavori, servizi e forniture“, ma soltanto un passaggio tecnico di traduzione del linguaggio html presente sul sito consente di capire qualcosa (di seguito uno screenshot del 2018).

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Dunque, se la legge anche imponesse che queste società dovessero essere gestite come una qualunque società privata e quindi tenuta a non divulgare pubblicamente fornitori e motivazioni delle assunzioni, non si capisce perché la parte politica, sindaci in testa, non si adoperi per cambiare la situazione.

Basterebbe un “patto parasociale” tra i soci pubblici con il quale, prima dell’assemblea, i soci di capitale pubblico esigano che le questioni connesse alla Trasparenza delle società partecipate siano rese pubbliche come avviene, già oggi, per i Comuni. E quindi pubblicizzazione di tutte le procedure di assunzione, di tutti gli acquisti e dei fornitori.

Non sarebbe difficile né complicato. Sarebbe comunque giusto.