SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Con grande piacere e rispetto mi sento in dovere di scrivere anch’io due righe su Ferruccio Zoboletti che ci lasciati lunedì scorso. Il suo essere un grande presidente di calcio, come hanno già detto Nedo Sonetti e Luigi Cagni, è niente rispetto al valore umano di un uomo come pochi. E non solo perché era la sua una dote da tutti riconosciuta. Le piccole scaramucce ‘giornalistiche’ nei suoi confronti quando fu costretto a lasciare la Samb (non certamente per quel motivo) sono nulla per una persona che alla grande umanità univa un’intelligenza non comune. Gli diede, e gli ha dato poi, sempre il peso (praticamente nullo) che aveva, perché riusciva a capire e giustificare anche chi sbagliava. Una gran cosa.  A tutto questo voglio aggiungere un particolare pregio che per me è di primaria importanza nella vita di ogni uomo: dava al denaro il giusto peso.

Nell’esprimere le mie sentite condoglianze e di tutta la redazione alla sua famiglia, mi piace ricordare Ferruccio Zoboletti con due momenti, magari anche banali, ma per me significativi.

Nelle due partite di Coppa Italia che la Samb disputò a San Siro contro l’Inter ebbi la fortuna di viaggiare con il pullman della squadra: c’era anche Ferruccio che durante il viaggio, sia di andata che di ritorno, faceva gruppo cantando e raccontando aneddoti con i giocatori che si ‘spellavano’ le mani per quanto gradivano le performance del loro presidentissimo.

L’altro momento mi riguarda personalmente: nel primo anno di serie D dell’era Fedeli, puntualmente, quando la Samb giocava in trasferta, appena finita la gara, mi chiamava per sapere come aveva giocato  e naturalmente per il risultato (“Con i computer non mi ci trovo”). Le notizie erano sempre buone (“Dobbiamo tornare dove ci spetta di diritto”) visto che, se ben ricordo,  in quel torneo i rossoblu non vinsero soltanto due o tre volte fuori casa.

Addio Ferruccio, un vero signore in tutti i sensi.