L’AQUILA – 6 aprile 2009, 6 aprile 2019.

Dieci anni fa, alle 3.32, una scossa di terremoto (magnitudo 5.9) sconvolse L’Aquila e tutto il Centro Italia. Centro storico distrutto ma gravi danni anche in altre aree della città.

1600 feriti, 80 mila sfollati e 309 morti. Tanti giovani. Ragazzi e ragazze, provenienti da tutta Italia, che si trovavano a L’Aquila per l’Università. Si stava avvicinando la Pasqua e molti erano già tornati nei luoghi d’origine a festeggiare con le famiglie. Altri, purtroppo, si trovavano ancora lì. In tanti furono salvati da Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine, 118 e persone comuni che hanno letteralmente gettato il cuore oltre l’ostacolo.

Dieci anni fa avevo 22 anni. A Grottammare, dove risiedo, come in tutto il Centro Italia, la scossa si avvertì molto bene nel cuore della notte. Una sveglia, con il susseguirsi dei minuti, molto amara date le notizie tragiche che già giungevano dall’Abruzzo in televisione e su Internet.

Io, per fortuna, non ho perso cari o amici che si trovavano lì, scampati per miracolo alla tragedia. Altri, purtroppo, non hanno avuto la mia fortuna. Molti che conosco hanno perso parenti o amici. Ho conosciuto, negli anni successivi, persone che scamparono al cataclisma perché, grazie a Dio, la loro casa non crollò. Ho conosciuto persone che sopravvissero nonostante fossero rimasti, per svariato tempo, sepolti dalle macerie e il cellulare di fronte a loro squillava a vuoto all’infinito, impossibilitati a muoversi per rispondere a familiari e amici, preoccupati per la loro sorte.

Come detto in precedenza, molti giovani persero la vita. Ragazzi e ragazze, alcuni da poco maggiorenni, che si affacciavano alla vita adulta cercando di trovare una loro dimensione che gli è stata maledettamente negata. Un dettaglio che mi rattristisce molto. Adesso potevano essere persone affermate nel lavoro con anche famiglia al seguito. Un destino fatale si è abbattuto su di loro. Ma non solo. Anche l’incuria e l’incauta costruzione di certi edifici che non sarebbero dovuti crollare ma che invece erano stati realizzati senza rispettare le norme di sicurezza. Uno su tutti, la Casa dello Studente, simbolo della negligenza, imperdonabile, umana.

Per questo, a distanza di dieci anni, la rabbia è ancora tanta. Non può essere altrimenti. Il destino ci ha messo del suo ma anche la “mano dell’uomo” è stata, ahimè, fondamentale e fatale. C’è chi piangeva quella notte, c’è chi rideva per gli imminenti “affari” che sarebbero sbocciati per la ricostruzione. Una ricostruzione che a distanza di dieci anni ha ancora molti buchi. L’Aquila è ancora, tristemente, L’aGRUila con il centro storico “invaso” da gru e cantieri.

Questa triste ricorrenza, deve essere onorata per ricordare le innocenti vittime e aiutare i loro familiari ma nello stesso tempo deve essere un continuo monito purché certe gravi negligenze non si ripetano più. Un monito, un auspicio, una ferrea volontà. Mai più giocare sulla pelle, e futuro, delle persone per qualche soldo risparmiato in più.