SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Massimo Colella ha 56 anni, è nato e cresciuto a Ripatransone e ora vive a San Benedetto. Poi c’è Alessandro Guidotti, sambenedettese, che di anni ne ha 58. La loro vita è quella che fanno le persone senza una fissa dimora, i senzatetto, o gli “invisibili” come li aveva ribattezzati una nota trasmissione televisiva di qualche anno fa. La loro vita è fatta di stenti, di vestiti presi alla Caritas, di un pasto al giorno e della sensazione di sentirsi abbandonati anche dalle istituzioni. La loro vita è quella che Massimo e Alessandro ci hanno raccontato durante un pomeriggio trascorso nella nostra redazione. E questa è la loro storia.

Raccontateci un po’ di voi e della vita che facevate prima di finire in queste condizioni, quelle di persone senza fissa dimora

Massimo: “Sono originario di Ripatransone ma ormai sto sempre a San Benedetto perché a Ripa non trovo posto neanche per ripararmi e quindi conviene stare qui. Io ho lavorato per anni in Provincia di Varese, dove facevo l’operaio comunale. Ho fatto una cavolata, lo ammetto, timbrando una volta per un collega. In quel momento stavano indagando e sono stato licenziato. Sono tornato a Ripatransone nel 2014 prendendo una casa in affitto e iniziando a fare il giardiniere in quattro ville di proprietà di turisti tedeschi. Ero ripartito bene, arrivavo a guadagnare anche 80 euro al giorno. Poi nel 2016 ho avuto un infarto e fisicamente non ce l’ho fatta più, ho una malattia vascolare degenerativa per cui da qualche tempo prendo una pensione di invalidità, seppur minima, di 290 euro al mese”.

Alessandro: “Io sono nato e cresciuto a San Benedetto dove ho lavorato fino al 1984, poi mi sono spostato e per anni ho vissuto fra Firenze, Roma, Francia e Svizzera. Ho fatto per tanto tempo l’aiuto cuoco e il lavapiatti in almeno otto ristoranti diversi di Firenze. Ho anche scoperto che per anni ho ricevuto buste paga fasulle, senza contributi, e quindi non riesco neppure a prendere una pensione e vivo con i 185 euro mensili del reddito di inclusione. So che è anche colpa mia, non lo nego, perché ho perso tutta la documentazione che portavo con me in una valigia”.

Dove dormite? Come si svolge la vostra giornata?

Massimo: “Io vivo da solo. In questo momento fa freddo e rischio di morire per colpa della mia malattia se sto anche solo una notte all’aperto. Per questo ho preso una stanza in un residence di San Benedetto e pago 500 euro al mese. Riesco a coprire appena la metà dell’affitto con la pensione e quindi mi devo far aiutare chiedendo prestiti un po’ qua e un po’ là. Se posso li restituisco ma molto spesso c’è chi capisce e non me li chiede indietro. Non nego che è umiliante trovarsi in questa situazione, è una questione di dignità umana”.

Alessandro: “Dormo nella sala polivalente della Caritas ma ci stanno per spostare (al momento dell’intervista n.d.r.), io e altre persone, in un piccolo appartamento in via Conquiste. Temo, però, che al primo caldo, come è successo altre volte ci chiederanno di andare via. Negli alloggi della Caritas, poi, devi  lasciare il letto alle 8 di mattina e puoi tornare solo alle 8 di sera. Non avendo un lavoro né un posto dove andare passo le mie giornate in giro e non faccio altro che camminare”.

Dove dormi nei mesi caldi allora?

Alessandro: “Al ritorno della stagione calda tornerò nella pinetina di via Manzoni, dove ho dormito tutta l’estate scorsa e parte dell’autunno dietro a uno scivolo di plastica per bambini. Almeno è riparato”.

Massimo: “Io rischio di fargli compagnia perché non riesco a trovare nessuno che mi affitti una casa e ad aprile dovrò lasciare il residence. Senza uno stipendio e con una pensione come la mia nessuno ti fa un contratto. Guardando il lato positivo, potrò spendere i 290 euro di pensione per prendermi un caffè al bar o per altre piccole cose che almeno ti risollevano un po’ il morale”.

Per mangiare invece come fate?

“Mangiamo una volta al giorno, alla Caritas, a pranzo. Ci siamo abituati ormai”.

Avete provato a trovare un lavoro? A ripartire in qualche modo?

Massimo: “Io purtroppo ho questa malattia che non mi permette di fare più il lavoro che ho sempre fatto. Poi voglio dire una cosa: quando non hai una casa è anche difficile fare progetti per il futuro, piani per tentare di risollevarti. E’ un circolo vizioso. Io in questi giorni sto a casa, perché devo restare al caldo, e passo le giornate con la tv o al cellulare, senza fare niente. Non è una bella vita”.

Alessandro: “Ho provato, soprattutto d’estate, a chiedere un lavoro negli chalet ad esempio. Nessuno mi vuole.”

Massimo: “Posso anche capirlo. Chi ha una ditta si può obiettivamente mettere a ridere quando vede persone come noi”.

E’ possibile che non riuscite ad avere un alloggio o un aiuto più costante da parte delle istituzioni come i Comuni oppure dalle associazioni?

Massimo: “Le associazioni ci aiutano, come ho detto mangio alla Caritas che mi fornisce anche tutti i vestiti che ho addosso. Però ci sono anche dei lati negativi. Anch’io dormivo nel centro polivalente della Caritas. Quando hanno saputo che avevo ricevuto la pensione di invalidità un volontario mi ha detto di andare via. Purtroppo sia le associazioni che i servizi sociali o le istituzioni in genere non funzionano come la gente pensa magari…”

In che senso?

Alessandro: “Non aiutano tutti allo stesso modo, se risulti simpatico hai più chances. A volte c’è la sensazione, quando entri a contatto con un ufficio o con altre realtà, che le persone siano quasi disgustate da noi. Spesso non ci sono persone qualificate che sanno trattare con realtà come la nostra”.

Massimo: “Non posso dire che le associazioni non ti aiutano ma spesso fanno i giudici della tua vita e, in base al giudizio che si fanno, ti aiutano. Quindi c’è chi viene sistemato subito e chi no. Purtroppo ci sono simpatie e raccomandazioni anche fra i poveracci come noi. Se poi provi a criticare l’operato di chi lavora in questo settore sei tagliato fuori. Anche con i servizi sociali del Comune è difficile perché non trovi mai l’assistente sociale, che è spesso in missione. Tante volte mi sono presentato in Comune con una semplice domanda e mi hanno chiesto di tornare dopo giorni magari, perché non c’era l’addetto in grado di rispondermi. Questo a San Benedetto. A Ripatransone, la mia città, il sindaco neanche mi riceve. Forse perché politicamente la penso diversamente e ho mosso critiche, anche pubbliche, in passato. E sono l’unico senzatetto di Ripa. Ammetto di aver avuto un passato difficile e di tossicodipendenza ma ho smesso negli anni 80′, non posso però continuare a scontarlo”.

C’è qualcosa che vi fa sperare di risollevarvi da questa situazione?

Alessandro: “Spero di riuscire a prendere il reddito di cittadinanza, o magari la pensione minima. Siamo persone che hanno bisogno di aiuto”.

Massimo: “Sì, la speranza è questa. Che il nuovo Governo possa darci una mano con il reddito di cittadinanza o con l’innalzamento delle pensioni minime. Io ho lavorato per 32 anni e per colpa di una malattia rischio magari un giorno di non camminare più, vorrei sistemarmi sotto un tetto almeno prima che succeda. Purtroppo, però, ho sempre meno fiducia nelle istituzioni. L’Italia alle volte mi sembra governata da una feudo-mafia alimentata da raccomandazioni, anche al più locale dei livelli e anche con i poveri”.

Avete letto del clochard che è morto ad Ascoli qualche giorno fa?

Massimo: “Ho letto sul giornale, l’ho trovata una cosa raccapricciante. So che non tutti sono come noi e che ci sono persone che vogliono fare la vita da clochard, ma questo non vuol dire che certe situazioni possono essere ignorate. Se quel senzatetto è morto vuol dire che nessuno se ne è mai accorto, vuol dire che i vigili non girano per Ascoli, che gli amministratori non girano per Ascoli non conoscendo la loro stessa città. E’ gravissimo”.