MONTEFIORE DELL’ASO – Sensazionale la scoperta effettuata nei giorni scorsi a Montefiore (Case Nucci), una seconda villa romana è stata rinvenuta, dopo la quella avvenuta nei mesi precedenti in località Forno de Vecchis. Il traguardo è stato raggiunto  grazie alle indagini sul campo condotte, sotto la Direzione scientifica della Sabap – Marche, dalla Società Cooperativa Archeologia, con il coordinamento di Manuela Cerqua coadiuvata da Mattia Berton, Alessandra Marchello e Isabella Piermarini. Ora il sindaco Lucio Porrà insieme al Polo Museale San Francesco si stanno attivando per allestire uno spazio dedicato all’esposizione dei reperti.

Le indagini archeologiche, che hanno portato alla messa in luce una porzione della villa, sono sotto tutela della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche.

“Lo scavo della villa, ubicata in un’area di versante caratterizzata da una morfologia acclive, il cui nucleo originario si data alla tarda età repubblicana, ha messo in luce diverse fasi di costruzione, di sviluppo e di abbandono di questa.

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Dopo la fase di massimo sviluppo, nella prima età imperiale, la villa dovette subire un dissesto, verosimilmente a seguito del movimento franoso dell’intero versante della collina; si data, infatti, al II-III sec d.C. un importante intervento di ristrutturazione del complesso, che vede la costruzione di un cortile porticato, posto a ridosso di un ambiente probabilmente occupato dalla cucina della fattoria come dimostrano la natura dei materiali recuperati al suo interno, per lo più frammenti di ossa animali e di oggetti di uso quotidiano (ceramica comune, da fuoco e da dispensa), insieme alla mancanza di materiali di pregio e di ceramiche fini. Segue una nuova fase di degrado del complesso, che evidentemente continuava ad avere problemi statici, contraddistinto dal crollo del tetto del porticato, in tegole e coppi, ancora parzialmente in situ al momento dello scavo, momento che si può datare a partire dal 3 decennio del III sec. d.C. grazie al fortunato rinvenimento di un sesterzio di Giulia Mamea (222-235 d.C.). Non si esclude tra le cause di questo ulteriore crollo anche il verificarsi di un incendio indiziato dalle diffuse tracce di fuoco e di concotto in corrispondenza dei piani di calpestio antichi.

Mentre, probabilmente, alcune delle strutture dell’impianto originale, sono rimaste in uso, forse con destinazioni funzionali differenti, questa porzione dell’edificio fu, quindi, definitivamente obliterata, e, a conclusione di successivi interventi di demolizione e rinterro, l’area fu utilizzata verosimilmente come area coltivata per produzioni domestiche, come mostrano le tracce dei solchi di coltivazione antichi.

Intanto, l’ambiente destinato probabilmente a cucina fu riservato alle sepolture infantili. Qui, infatti, sono state trovate due sepolture di individui in età neonatale contenute all’interno di anfore. La datazione delle anfore, che dovrebbe attestarsi intorno alla fine del III sec. d.C., confermerebbe la dismissione di questo settore della villa in questo momento, mentre ancora per diversi anni continueranno ad essere occupati i settori posti più a nord e più a ovest, a quote superiori, dove sono rintracciabili interventi di ristrutturazione a livello delle fondazioni.

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Delle murature si conservano ovunque solo le fondazioni realizzate con ampio uso di ciottoli fluviali, di frammenti fittili di riutilizzo, tegole fratte o intere con alette in paramento, legati da semplice argilla o, più raramente, da malta grigia. Al di sopra di queste zoccolature dovevano impostarsi alzati lignei e pareti a tamponamento in argilla cruda (non si esclude la presenza di tramezzi realizzati interamente in materiali deperibili e privi di fondazione), mentre di argilla battuta risultano composti tutti i piani pavimentali individuati.

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Le attività di tipo domestico sono attestate dal rinvenimento di sporadici pesi da telaio e di due porzioni di macine manuali in pietra lavica. Agli aspetti produttivi possono collegarsi gli abbondanti frammenti di dolia e di anfore, che, permettono di ipotizzare, in attesa di uno studio completo e sistematico su tutti i materiali rinvenuti, una produzione non solo destinata all’ambiente domestico, ma probabilmente anche, vista la dimensione dell’insediamento, anche una loro commercializzazione.

Desta curiosità il rinvenimento, nei livelli superficiali posti a copertura dell’area, di un frammento di boccaletto, che non avrebbe destato grande interesse se non avesse recato sul collo un’incisione realizzata dopo la cottura.

Si tratta di cinque lettere riferibili ad un gentilizio al genitivo <L>ICINI che, allo stato attuale e in vista di riscontri e confronti puntuali con l’abbondante materiale ceramico rinvenuto, non possiamo escludere che rilevi il nome del proprietario della fattoria.

Gran merito va, per la disponibilità e la sensibilità per la tutela dei beni culturali dimostrata, alla Società Gasdotti Italia S.p.A.

(fonte: www.sabapmarche.beniculturali.it)

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Pubblicato il 16/01/2019