Gianni accende una sigaretta, l’ennesima, di quella sera. Fa freddo, gennaio è ghiacciato quest’anno, anche se non piove, non nevica. C’è solo un cielo sereno, da venti giorni, sempre uguale. E la sera, tutto sembra gelare sotto le stelle chiare.

È il gennaio del 1981, Gianni ha 21 anni, e accende la sigaretta guardando la strada deserta. Mancano pochi minuti alla mezzanotte. Dentro al bar, il solito bar, ci sono Pietro, Annarita e Carla. Lui è uscito per prendere un po’ d’aria, ha detto. Non c’è nulla da fare, a San Benedetto, in inverno. D’estate, d’estate pensa Gianni, sembra di essere a Bologna, o Milano. Ma d’inverno San Benedetto è come quella degli anni ’50. O si va al cinema, o si sta al bar. Il solito bar.

Pietro, Annarita e Carla escono. Hanno pagato loro il conto. Lui e Pietro hanno bevuto un punch, le ragazze soltanto una cioccolata calda. Non le vedrà più, di lì a poco, quelle due ragazze. Dimenticherà i loro nomi. Le incontrerà, non più di cinque volte in tutto, tanti anni dopo, specchiando i loro sguardi sul ricordo di quelle sere. Un capello bianco, un’occhiaia, una stempiatura, un sedere ingrossato. E i figli, il lavoro.

Gianni non pensa a questo, adesso. Finisce la sigaretta, la butta sull’asfalto e con le clark’s nuove spinge con forza la cicca, fino a spegnerne la cenere. Neanche Pietro pensa al futuro. Perché preoccuparsi del futuro quando si hanno 21 e 22 anni, si passa il tempo con due belle ragazze, e qualsiasi desiderio sembra pronto ad essere soddisfatto.

Pietro è il migliore amico di Gianni, e Gianni è il migliore amico di Pietro. Ognuno sa di essere importante per l’altro come l’altro è importante per sé. Gianni è ricco: suo padre è uno degli uomini più ricchi della città. Dal nulla è diventato il proprietario unico della più importante azienda fornitrice di bevande della provincia, praticamente monopolista, sempre più forte a mano a mano che nascevano, in quella terra un tempo di contadini e pescatori, ristoranti, stabilimenti balneari, hotel, bar, pizzerie.

Pietro è il figlio del principale collaboratore del padre di Gianni. Suo padre viaggia tra tutti i clienti, tutti i giorni, per prendere ordini e controllare che le consegne siano puntuali e precise. E poi trova nuovi clienti, anzi, ormai lo cercano prima ancora di aprire perché sanno che il signor Lupidi è il numero uno, nel settore. E così guadagna sempre di più: fisso, commissioni, tredicesima, quattordicesima, straordinari, quota in nero. E più guadagna, più lavora, più aumenta il fatturato, e più il padre di Gianni lo paga senza risparmio. È come un criceto ma invece di correre in una ruota corre sopra stecche di denaro.

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Gianni e Pietro vanno d’accordo come i loro padri. Si sono incontrati, si sono piaciuti, si sono da subito frequentati e capiti come se fossero stati da sempre vicini. Come fratelli, si dice. Più che fratelli. Gianni ha soltanto una sorella, più piccola, Pietro due fratelli maschi, più grandi. Sanno tutti e due che saranno vicini per sempre, qualsiasi cosa accadrà. Lo sentono.

Gianni veste bene, e Pietro tenta di stargli dietro. Basta vedere il modo con il quale si infila i guanti di pelle, con la pelliccetta interna, e tira su il bavero del cappotto. Pietro è più forte fisicamente. Quando Gianni va a vederlo nelle partite di rugby, nel campo infangato, invidia la potenza delle sue gambe e del busto. Lui non ha mai fatto sport agonistico, invece.

Gianni è sempre stato il più bravo della classe. Ma teme che questa fortuna – per anni lo ha messo al riparo da tante sofferenze patite ad esempio dai suoi compagni, costretti ad affaticarsi per capire concetti che lui apprendeva subito o per evitare bocciature o brutti rimproveri a casa – gli si ritorca contro, prima o poi. Adesso studia Economia e Commercio, supera gli esami senza difficoltà e con buoni voti ma non con le eccellenze che suo padre di sarebbe aspettato. È stato tutto troppo facile, per Gianni. Per questo, da quando ha iniziato a studiare fuori e si è liberato dall’ossessivo controllo paterno, la sua mente ha iniziato a funzionare in maniera diversa. Vuole trovare un modo per complicare una esistenza troppo facile. Si annoia.

Ha anche provato delle droghe pesanti, ma con il suo solito modo di fare. Vuole essere il padrone della situazione. Non vuole dipendenza. Per questo ha evitato di tornare nel giro di chi, a forza di bucarsi, si è ridotto ad una larva in poco tempo. Gianni la pensa diversamente. Vuole divertirsi, anche con la droga. Lo fa ogni tanto, poi se ne allontana. Vuole comandarla e dimostrare di essere vincente. Per ora, è così.

Ma non è solo la droga. Non sono soltanto le donne che, adesso, lo tormentano, sperando di sistemarsi con uno come lui. Da quando ha lasciato Roberta, la sua fidanzatina dai tempi dell’adolescenza, non vuole legami seri con nessuno. E gli fanno paura quelle ragazze che, invece, gli parlerebbero di matrimonio se soltanto lui si mostrasse debole con loro, o irretito. No. C’è dell’altro.

Gianni cerca qualcosa che lo conduca al limite. La sua educazione non gli consente di diventare irrecuperabile, di superare il limite del non ritorno. Ma vuole affacciarsi oltre, rischiare. Ha frequentato gruppi politici di estrema sinistra, e si è presto annoiato a sentire i loro discorsi così complessi e astratti. Ma era affascinato quando qualcuno parlava di rivolta, di ribellione. In piazza ha partecipato a scontri con i fascisti e con la polizia. Ecco il limite del consentito. Molti compagni sono stati arrestati, schedati. Lui ha corso per le vie del centro di Roma fino a stordirsi e restare per un’ora senza capire dove si trovasse, senza riuscire neppure a parlare. Se fosse stato arrestato? A chi avrebbe detto che, dopotutto, a lui di quelle cose lì non interessava granché? Era ricco, protetto. Partecipava per il piacere di sentire qualcosa di vivo che lo liberasse dal monotono perbenismo che gli stritola l’anima. Non c’era nient’altro.

“Che dici, andiamo?” Pietro lo guarda mentre si tira giù il basco e abbraccia Annarita e Carla. Che strano, pensa Gianni, guardando le tre chiome bionde davanti a lui, sorridenti, con i capelli che si toccano. Pietro invece ha già iniziato a lavorare, nella ditta di suo padre, ovviamente. Aiuta il signor Lupidi da qualche mese. Prima era andato in mare, con i motopescherecci, poi era tornato e aveva lavorato come muratore. Guadagnava bene sia in mare che a terra, ma erano soltanto delle prove per capire cosa fosse la fatija, la fatica, come dicevano i vecchi. L’aveva voluto suo padre, il signor Lupidi, che adesso si fidava di quel figlio e voleva imparasse la sua stessa arte. “Si guadagna bene, se ci sai fare. Ci provo” aveva detto Pietro all’amico il giorno prima di iniziare.

Gianni studiava al liceo classico, Pietro in un istituto professionale commerciale, quando si erano conosciuti. Si erano subito piaciuti. Ed ora, anche se Giovanni studiava a Roma, quando tornava a San Benedetto trascorrevano tutto il tempo possibile insieme. E così sarebbe stato anche nei decenni a seguire. Ogni volta fosse possibile.

Si scambiavano le ragazze, quando si annoiavano di quelle storie a volte troppo morigerate, altre troppo esplicite. Giovanni e Pietro, Pietro e Gianni. Uno elegante, cerebrale. L’altro genuino, forte. Sembrava un miracolo andassero così d’accordo. E in pochi credevano che davvero, tra loro due, riuscivano a raccontarsi tutto.

“Andiamo. È quasi mezzanotte e con questo freddo in strada non ci sarà nessuno. Neanche la polizia”. Si dividono. Annarita segue Gianni, Carla Pietro. Annarita cerca di dare la mano a Gvanni mentre si avvicinano alla Citroen Cx, ma Gianni evita quel contatto troppo romantico. Non per ferirla, né per disinteresse verso di lei o per il piacere di umiliarla, come gli capita sempre più spesso con le donne. Gianni è semplicemente concentrato su quello che dovrà fare nella prossima mezzora, e sente salire la concentrazione di adrenalina nel sangue. Tutto il resto è un contorno. Preferirebbe guidare da solo, anzi. Ma Annarita è lì, non può respingerla né può mandarla nell’automobile di Pietro con una giustificazione sensata. Va bene che sia al suo fianco, ma non vuole interferenze.

Pietro sale invece sull’Alfa Sud abbracciando Carla. Sembra si vogliano bene, ma per lui è sempre così. Una ragazza sembra valere un’altra e per questo non si affeziona. Per un periodo era stato quasi il lato B dei rifiuti di Giovanni: dirottava le ragazze che non voleva o non voleva più verso l’amico. Adesso invece è più autonomo, ma resta condizionato dalle decisioni di Gianni. Quando lui resta solo, anche Pietro tende ad esserlo, senza forzature. Il loro stato naturale è quello di essere vicini, e quando entrambi sono liberi da relazioni anche appena avviate – molte ragazze del paese sono ancora delle famiglie di un tempo e sarebbe impossibile trovarle da sole, di notte, in giro come fanno adesso Annarita e Carla – tutti e due sembrano sentirsi meglio. Stanno bene, insieme. Pietro una volta ha detto all’amico che lo sposerebbe, se fosse una donna. O si farebbe sposare, se fosse nato femmina lui.

L’Alfa Sud odora di nuovo. È stata comprata un mese prima dal padre di Gianni, ma fino ad ora è stata usata pochissimo, perché Gianni preferisce la Citroen e sua madre si sposta giusto dalla sua casa a quella della nonna, un paio di chilometri al giorno di andata e un paio di ritorno. “La do a Pietro, queste sere. Almeno fa un po’ di rodaggio” ha spiegato al padre. Che non ha insistito troppo per negarla: immaginava che i ragazzi usassero l’automobile come riparo discreto per le loro avventure con le donne.

Le due automobili, uscite dal parcheggio, si ritrovano all’incrocio tra la Statale 16 e la vecchia via Salaria. C’è una lapide antica che indica i chilometri che distano da quel punto a Roma, e da quel punto Gianni e Pietro si sfideranno in una gara di velocità. Non è la prima volta, e nel corso di quel mese di gennaio una notte su due va a finire a quel modo. Una sera, forse avevano bevuto troppo, decisero di spegnere i fanali e di procedere a luci spente. Incoscienti.

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Il semaforo è rosso, quando arrivano, uno dietro all’altro. Pietro e la sua Alfa Sud con Carla davanti, Gianni con la Citroen Cx con Annarita, dietro. Devono essere svitate queste due, pensa Gianni. Annarita fa l’aiutante parrucchiera. È una ragazza piacevole, silenziosa, ma gli sembra priva di qualsiasi idea del mondo. Carla è diversa. Più piccola, sempre sorridente, abbraccia Pietro come se fosse davvero l’amore della sua vita. Non lavora e non si sa se abbia intenzione di farlo. Probabilmente le piacerebbe una vita da casalinga, con due o tre figli da crescere e accudire il marito quando rientra dopo dodici o quattordici ore di lavoro. Forse pensa che Pietro sia l’uomo giusto per i suoi sogni.

Quando scatta il verde, la Citroen Cx affianca l’Alfa Sud, superandola alla sua sinistra, mentre girano e rivolgono il muso verso ovest. Alla fine di quella strada, a decine di chilometri da lì, ci saranno le montagne degli Appennini. Ma quello è soltanto il loro polo magnetico. Si fermeranno prima. Il percorso è stabilito. È quello solito. Arriveranno alla chiesetta di Sant’Anna, che sporge sulla Salaria costringendo la strada a stringersi all’improvviso, e poi gireranno, infilandosi per un tratto nella zona industriale e poi torneranno all’indietro, fino alla discoteca Oxygen. Meno di dieci chilometri. Senza quasi frenare.

Gianni accende la radio. Il suono proveniente da una musicassetta invade l’abitacolo. Sono i Police, che ha ascoltato dal vivo quando sono venuti in Italia. Gianni è diventato un grande intenditore musicale e Pietro è il suo compagno fidato quando si tratta di spostarsi per andare a sentire musica dal vivo. Ma i Police gli piacciono meno. È rimasto affezionato alla musica più dura di qualche anno prima. Non tollera quella che a lui sembra una corruzione dello spirito del punk iniziale. I Police, o anche i Cure, persino i nuovi Clash, gli sembrano meno coraggiosi. Gianni ha provato a spiegargli che è una evoluzione musicale, che gente come i Talking Heads sta cercando di sperimentare sonorità mai suonate prima. Crede che Pietro sia ingenuo, talvolta, e se non hanno mai litigato sul serio su altre questioni, i loro confronti sulla musica contemporanea ultimamente sono diventate aspre. Gianni ha preferito abbandonarle, considerata l’intransigenza dell’amico. Pietro gli ha urlato: “Non pensare che sono stupido. A volte hai quest’aria che non mi piace. Non mi far credere che la bravura dipende da come si suoni uno strumento o come si cantino delle parole. A me interessa il cuore”.

La musica è così forte che Gianni perde la percezione dei suoni esterni, persino del motore della Citroen Cx. Al suo fianco Annarita si stringe al sedile, respira piano. È già stata con lui, qualche giorno fa. Dopo hanno fatto l’amore, per la prima volta tra di loro, sempre in quell’automobile, proprio come pensava suo padre. Carla invece ancora non si è concessa a Pietro, anche se dopo la sua prima corsa si sono appartati pure loro e si sono quasi amati. Carla ha resistito contro il suo desiderio, soltanto perché vorrebbe che Pietro la rassicurasse sulle sue intenzioni. Non lo sta ricattando. Ma ha il terrore di essere usata per qualche tempo e poi abbandonata. Teme che Pietro abbia una mentalità un po’ antica, da vecchio maschio, e possa disprezzarla se lei si concedesse troppo presto o senza resistere. E crede, o spera, che quella resistenza possa tenerlo vicino a lei il più possibile, fino a quando non prenderà una decisione più chiara. Anche lei ragiona da vecchia femmina, ma non vorrebbe.

Pietro è il primo ad accelerare. Gianni lo segue a distanza di un paio di secondi: così è l’Alfa Sud ad imboccare per prima il rettilineo iniziale, e la Citroen si posiziona dietro. L’Alfa Sud prende trenta, poi cinquanta metri. Allunga ancora. Gianni sente la sua automobile vibrare. Controlla il contachilometri e sa che può accelerare ancora molto come sa che la stessa cosa può farla Pietro. Ma non vuole rischiare adesso. Non vuole arrivare ad un testa a testa già ora, con invasione della corsia opposta e controsorpassi. La distanza, però, aumenta. Forse Annarita dice qualcosa. Forse lo invita a recuperare quella strada persa, o forse invece gli dice il contrario, di lasciar perdere se la sua macchina non va. Gianni non la ascolta: perché non la vuole ascoltare e perché il suono della musica dei Police è altissimo eppure a sua volta non ben distinguibile a causa delle vibrazioni che dall’asfalto scuotono tutta l’automobile.

Gianni inizia a pensare a qualcosa di strano. Qualcosa a cui non aveva mai pensato con la stessa intensità di quel preciso momento. Gianni pensa a dove saranno lui e Pietro fra venti o trent’anni. E dove saranno quelle povere due ragazze. Gli sembra di accelerare, di premere con tutta la sua forza il pedale dell’acceleratore, ma invece è distratto, conquistato dalla potenza di questa fantasia.

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Negli anni seguenti, Gianni e Pietro avrebbero continuato a frequentarsi a lungo. Serate in pizzeria, qualche concerto ma sempre più raramente, anche perché entrambi ritenevano la nuova musica non alla pari con la precedente. Gianni si sarebbe calmato, dopo la laurea. L’inquietudine che aveva tenuto nascosta l’avrebbe riversata in una sorta di avidità per il denaro, in una gestione dei dipendenti molto più serrata rispetto a quella di suo padre, in calcoli di investimenti finanziari di successo di cui suo padre non riusciva a capire nulla se non il rendimento finale. E poi con le donne. Avrebbe mandato all’aria due fidanzamenti di cui tutti erano certi sarebbero arrivati al matrimonio. Si sarebbe sposato perché la compagna era rimasta incinta. Poi l’avrebbe lasciata – sempre lui, decideva – si sarebbe risposato stavolta convinto di essere innamorato. E così era davvero, almeno per quindici anni. Poi, di nuovo, un altro matrimonio finito, nonostante i due figli. E alla fine sarebbe vissuto da solo, rispettato come uno degli uomini più ricchi della provincia, con l’ammirazione di suo padre fino al momento della morte.  Era stato un figlio che aveva ingrandito il patrimonio della famiglia e non l’aveva dilapidato, nonostante amasse vivere bene e spendesse anche troppo in beni futili.

Pietro, invece, sarebbe impazzito. Non un matto da manicomio. Ma perse davvero la testa per una donna. Si fidanzarono. Uscivano assieme, Pietro e Gisella con Gianni e la sua prima moglie, con il primo figlio dentro al passeggino. “Io mi sono sposato, anche se di fretta, adesso tocca a te!” scherzava Gianni. Pietro si scherniva ma era convinto che anche per lui il passo sarebbe stato prossimo. Gisella era molto bella, sembrava un angelo. “È la ragazza ideale. Buona, simpatica” diceva a Gianni che assentiva e quasi lo invidiava, perché sua moglie non era così, e già Gianni iniziava a stancarsi della sua vicinanza.

Invece Gisella non lo amava. Aveva tentato di innamorarsene, ma l’aveva lasciato per un altro uomo, più anziano. Un professore delle scuole medie. Pietro se ne dannava. Iniziò ad offenderla e a parlar male di lei ogni qual volta poteva: parlando con Gianni o con gli amici di lei o al bar o con gli sconosciuti. Gisella era una puttana che aveva scelto un professore perché aveva un lavoro sicuro e rispettato, non come lui che invece doveva andare in giro dai clienti giorno e notte e se si fermava guadagnava meno e se si stancava non poteva metter su famiglia.

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Da quel momento impazzì. Lasciò il lavoro e si rifiutò di dedicarsi a qualsiasi altra occupazione stabile. Tornò a vivere con il padre che lo campò, all’inizio nonostante lo disprezzasse, poi nonostante il dispiacere. Talvolta Pietro si dedicava a lavori saltuari, ma non riusciva a immaginarsi nuovamente costretto a rispettare orari, contratti, vincoli. Andava in giro in città soltanto a piedi e in bicicletta. Diceva a Gianni di stare bene, di non sentirsi inutile o di aver sprecato la sua vita. “È meglio così”.

Gianni gli aveva trovato un lavoro. Non nella sua azienda, perché Pietro non vi avrebbe mai rimesso piede. Si vergognava di incontrare gli ex colleghi suoi e di suo padre e Gianni lo sapeva e lo capiva. Ma era un bel posto in una azienda agricola che aveva iniziato ad imbustare le insalate per commerciarle già pulite e tagliate, pronte solo dopo un passaggio nell’acqua corrente. “Lunedì alle 7 vado da loro. Sono miei clienti. Gli ho parlato di te. È importante”. Pietro gli aveva risposto: “Ci devo pensare in questi due giorni che restano. Passa pure a casa mia ma se alle 7 non mi vedi davanti al portone di ingresso, ti prego, non suonare”. Pietro quel lunedì mattina non scese di casa.

Pietro viveva da tempo con piccoli sussidi di disoccupazione, lavori socialmente utili, piccoli lavoretti in nero, contributi per gli indigenti. Quella notte del 1981 nessuno dei due poteva sapere quel che sarebbero diventati, e se qualcuno avesse scommesso, avrebbe pensato che tra i due quello che avrebbe ceduto con più facilità sarebbe stato Gianni. Sempre che conoscesse ciò che gli si agitava dentro e non si limitasse soltanto all’aspetto esteriore sempre compito, alla qualità del pensiero, alla conoscenza del suo corso di studi e alla sicurezza che gli dava essere l’unico figlio maschio di una famiglia tanto ricca. Gianni poteva andare in crisi perché troppo sensibile o troppo spietato, contemporaneamente. Ma tra le due qualità avrebbe prevalso sempre più la seconda. Pietro invece sembrava un semplice, che non si sarebbe in nessun modo complicato la vita. Era fortunato anche lui, non come Gianni ma gli stava andando bene in quel periodo, per quale motivo ingarbugliarsi la vita?

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Quando girò alla chiesa di Sant’Anna e si infilò nella zona industriale per fare la manovra e tornare, stavolta, all’indietro in direzione mare, Pietro con la sua Alfa Sud aveva almeno trenta secondi di vantaggio sulla Citroen Cx guidata da Gianni. Soltanto quando raggiunse la chiesetta e invertì la direzione scendendo a sinistra verso la zona industriale e poi risalendo verso la Salaria, Gianni capì che il motivo per cui non riusciva a stare vicino a Pietro, questa volta, non era nei difetti della vecchia Citroen o in Annachiara che aveva paura o nelle canzoni dei Police a volume troppo alto. Capì soltanto in quel momento che aveva paura e che non colpiva l’acceleratore come doveva e non impugnava il volante con la grinta delle ultime volte e tutto questo perché aveva paura mentre Pietro, là davanti, andava veloce come un fulmine e mai lo avrebbe ripreso, né quella sera, né mai.

 

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