SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “I ragazzi provengono dai bar del Centro del quadrilatero della movida posti in Via Castelfidardo, Via Montebello e Via Mentana, davanti ai quali stazionano centinaia di giovani che urlano ininterrottamente facendo cori e bestemmiando”: è soltanto una delle frasi contenute in un esposto presentato da sette famiglie e firmato da diversi residenti del centro e indirizzato, lo scorso 7 agosto, all’attenzione del sindaco di San Benedetto Pasqualino Piunti, del prefetto Rita Stentella e il commissario di Polizia Leo Sciamanna.

Il tema è quello noto: la cosiddetta “movida molesta”, ovvero assembramenti di giovani e meno giovani per le vie del centro, con punte nei fine settimana e con le conseguenti frizioni e casi di cronaca di cui abbiamo dato conto in questi ultimi anni. Diritto al divertimento e al lavoro delle attività commerciali, da una parte, e al riposo e alla sicurezza, dall’altra.

Assieme alla cronaca di una convivenza talvolta difficile, ci sono poi tutti i tentativi delle amministrazioni di risolvere i problemi.

L’esposto, oltre al suo naturale valore legale, rappresenta un documento importante, in sostanza un vero e proprio “compendio” di quello che, nel tempo, queste sette famiglie hanno dovuto subire. Raccontato dalla loro viva voce.

Via Legnago, via Custoza, via Mentana, via Montebello e ancora via Castelfidardo, via Calatafimi e via Aspromonte sono il teatro di queste storie. Sette racconti firmati con nome e cognome e talvolta con la descrizione minuziosa dello stile di vita e del lavoro che risente di notti insonni.

“Tutte le sere estive e i week-end invernali ci troviamo accerchiati da gruppi di ragazzine e ragazzini che stazionano sotto casa urlando, bestemmiando, bevendo, vomitando e urinando contro il portone da mezzanotte fino, talvolta, alle 5 del mattino (…) L’agglomeramento dei ragazzi rende pericoloso il rientro e l’uscita dalla propria abitazione poiché i ragazzi si stravaccano lungo il marciapiede senza spostarsi neanche di fronte ad una macchina che deve parcheggiare o al proprietario che deve rientrare in casa. Oltretutto molti dei ragazzi sono in evidente stato confusionale a causa di droga ed alcool, per cui c’è anche il rischio della propria incolumità”

Il racconto di certe notti sambenedettesi, dal punto di vista di chi sta al piano di sopra, parla di “vetri rotti”, di “feci e urina lasciate sui marciapiedi e che dobbiamo pulire la domenica mattina” e ancora di grida improvvise, musica alta, ragazzi che si divertono a suonare il campanello fino ad arrivare a risse, accoltellamenti e auto danneggiate.

La situazione si ripercuote sulle vite di questi cittadini che, quando va bene, perdono il sonno. “Io per lavoro sto sempre in auto, se non dormo rischio di fare un incidente” scrive uno di loro. “So di un’anziana che rischia di perdere la sua badante perché quest’ultima non riesce a dormire e quindi a lavorare” scrive un altro. “Ho una bimba piccola che si sveglia nel cuore della notte” sono invece le parole di una mamma. Ma anche il portafogli viene toccato da questa situazione. C’è chi racconta di essere stato costretto a stipulare un’assicurazione accessoria sulla casa “per i danni alle cassette delle lettere, ai portoni, allo sportello del contatore”. Altri invece di aver dovuto spendere migliaia di euro per le finestre coi doppi vetri e i condizionatori d’aria.

Le voci di queste persone parlano, in qualche caso, anche di un senso di sfiducia nelle istituzioni. “Ogni qualvolta ho provato a chiedere l’intervento dei vigili poiché i bar suonavano musica a tutto volume all’una di notte o più tardi, mi veniva risposto che erano impegnati sul lungomare”. E ancora: “I rumori non sono diminuiti negli ultimi anni nonostante la buona volontà di questa amministrazione e i tanti proclami nei media del sindaco Piunti”. Un altro cittadino: “Tempo fa un assessore mi ha detto che se un privato fa domanda di licenza per un esercizio commerciale il comune la licenza gliela deve dare e non può limitare l’orario di chiusura perché c’è una legge che ne garantisce la liberalizzazione”.

Insomma, in tante di queste storie si può leggere sfiducia, rassegnazione, il segno di centinaia di notti che, per chi scrive, sono state piene di soprusi. Questa rassegnazione si può comprendere leggendo un altro passo: “Le famiglie nel centro che soffrono questo forte disagio sono poche, al massimo un centinaio, e hanno politicamente un peso marginale rispetto agli interessi degli esercenti (“che non riescono a controllare i clienti” scrive un altro) e ai migliaia di giovani frequentatori dei locali”.

Ma c’è chi, nonostante tutto, riesce a vedere la situazione con una sufficiente dose di lucidità. “Si tratta solo di poche decine di ragazzi scalmanati”. Un uomo che si rende conto che i suoi disagi non sono imputabili alla totalità del “popolo della notte” o dell’intero fenomeno movida ma che sono legati, almeno nei comportamenti più estremi, a una minoranza. Significativa anche una frase estrapolata da questi sette racconti. La frase di un cittadino che certamente è stanco di quello che vede, e sente, tutte le notti. Ma che non ha perso la speranza di risolvere il problema: “Credo che esista un modo per convivere ma la strada non è questa, siamo persone aperte al dialogo per chi ci rispetta”.

Anche se per altri la situazione è insostenibile: “I disagi derivanti dai ragazzini scalmanati, ubriachi ed alterati per uso o abuso di sostanze, che si riversano nelle vie del centro, in prossimità di esercizi commerciali che erogano bevande a prezzi irrisori (cicchetti ad 1 euro) sono  a conoscenza di tutti e facilmente immaginabili: nel corso della notte (ben oltre la mezzanotte) gridano, urlano, bestemmiano, urinano sui muri, vomitano e si rendono attori di atti osceni che offendono la comune morale; agiscono non curanti del disagio e fastidio che arrecano ai residenti ed agiscono indisturbati in quanto, i vigili urbani sono impegnati altrove”