SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Di seguito la nostra intervista a Orlando Marconi, pubblicata sul settimanale Riviera Oggi numero 619 del 14 marzo 2006 e scritta da Giovanni Desideri. Marconi è scomparso oggi, martedì 6 novembre, all’età di 91 anni (clicca qui).
«Il mio primo libretto del lavoro lo ebbi dalla Casa del fascio, a 12 anni, due anni prima del consentito, perché provenendo da una famiglia molto povera avevo bisogno di lavorare. La qualifica era “garzone del legno”, da Giostra a Porto d’Ascoli. Era il 1939».
Se da allora è passata molta acqua sotto i punti (e come vedremo non è una metafora), Orlando Marconi, il “re del freddo”, il più grande imprenditore di San Benedetto e non solo, ancora apre enormi complessi di logistica, l’ultimo a Fidenza, provincia di Parma.
Garzone da Giostra, poi dipendente in un’altra “storica” azienda locale, la Formentini ortofrutta, fino al servizio militare. Partigiano durante la guerra («i tedeschi ci portavano a lavorare in vari punti, di notte facevo opera di sabotaggio»), camionista dopo, poi trasportatore del freddo. Nel 1970 inizia l’avventura dei magazzini con celle frigorifere. Da allora l’espansione delle sue attività è da teoria del big bang. Un segreto? «Senza una donna vicino che ti protegga non vai lontano. Io ho mia moglie».
Signor Marconi, quando si parla di agroalimentare a San Benedetto si parla di crisi, mobilità, perdita dei posti di lavoro. Ma il settore è in crescita in ambito nazionale. Quale delle due tendenze segue il suo gruppo?
«Oggi in crisi sono gli imprenditori. È vero, ci sono periodi in cui il mercato non va bene. In questo momento la situazione è un po’ stagnante. Ma è anche vero che si deve avere coraggio. Gli imprenditori si devono svegliare. Non ci si può mettere a letto per un po’ di febbre e non alzarsi più».
Ma da lei i posti di lavoro aumentano o diminuiscono?
«Ho cartelle piene di persone che vogliono lavorare. Stamattina ne ho assunte un paio. No, non ho mai avuto riduzione di personale. Con me lavorano professionisti, persone che non sono numeri. In tutto, tra Ascoli, Monteprandone, San Benedetto, Pescara, circa 150 addetti. Brave persone davvero, alcuni stanno con me da 30-35 anni. Mi dicono che le pensioni dei miei ex collaboratori sono le più alte in zona. Io stesso potrei mettermi a riposo. E invece no, bisogna andare avanti, l’ultimo centro l’ho aperto da poco a Fidenza».
Come mai ha scelto Fidenza?
«Perché è un baricentro molto importante tra Italia ed Europa. Quello di Fidenza è un grosso comparto del freddo, con alcune decine di addetti. La costruzione è iniziata il 2 maggio 2005 e questa settimana iniziamo l’attività. Due o tre volte a settimana vado a vedere come procedono le cose. Il mercato del freddo ha grandi margini di crescita, se si considera che quando ho incominciato nel 1970 si consumava una media di mezzo chilo di surgelati pro capite all’anno. Oggi in Italia siamo a 16 chilogrammi. In Europa a 28».
E come mai non segue l’esempio di molti che “delocalizzano” all’estero?
«È un guaio per la nostra economia che molti se ne vadano. Quelli che lo fanno non considerano che il costo della manodopera più basso è un fenomeno solo momentaneo, poi si adeguerà. Mentre è grave che ci priviamo della nostra tecnologia. Dobbiamo avere il coraggio di rinnovare restando qui. Senza contare che molti imprenditori, specie negli anni passati, si sono messi a giocare con i soldi: a perseguire guadagni finanziari, per esempio in borsa, rinunciando ad innovare».
Veniamo invece a San Benedetto. La prima asta per la vendita della Co.po.p., con base 23 milioni di euro, è andata deserta. Lei è interessato all’acquisto?
«No, la Co.po.p. non mi interessa. Loro fanno produzione, io logistica. E credo che il mio sia il settore in cui si possono creare più posti di lavoro. Per questo ci vorrebbe l’aiuto e l’attenzione della politica. Io invece sto costruendo tutto da solo, senza aiuti».
Non ha progetti per il territorio di San Benedetto?
«Sì. Ho intenzione di creare un grande centro fieristico, su una superficie di circa sette ettari, con 20 mila metri quadrati coperti, allo svincolo dell’autostrada. Sto preparando il progetto. Sarà un centro più piccolo del centro di Rimini, ma comunque utile, all’incrocio tra Marche e Abruzzo».
Quest’anno ci sono le elezioni. Cosa si aspetta alla politica e come giudica i governi di questi ultimi anni?
«Io sono completamente fuori dalla politica, non me ne interesso. Però mi chiedo quali siano le differenze tra i cinque anni precedenti e quelli che si sono appena conclusi, tra una parte e l’altra. I politici non affrontano e non risolvono i problemi. Uno di questi è quello delle infrastrutture».
Cosa intende?
«Penso soprattutto ai trasporti. Non abbiamo alternative: dobbiamo potenziare le ferrovie, perché le strade sono intasate e non si cammina più, specie sul versante Tirreno. Su quello Adriatico riceveremo un incremento dei traffici dai grandi lavori in corso al porto di Taranto, dove sto valutando di installare alcune celle frigorifere. Ma negli ultimi trent’anni non è stato fatto nulla per le ferrovie, anzi: sono state sminuite. E dire che raddoppiare gli attuali binari unici non è un gran lavoro. Le ferrovie sono strutture sociali».
Gli industriali chiedono spesso più flessibilità del lavoro. La conseguenza è l’insicurezza sociale. Come uscirne?
«Condivido la richiesta di maggiore flessibilità, ma sono consapevole che esagerando non avrei lavoratori con le capacità dei miei. È un problema difficile, ma potrei fare l’esempio del centro logistico che ho aperto da pochi anni a Monteprandone: oggi vi lavorano 3-400 persone di varie aziende. Diciamo quindi che nel momento in cui apro una struttura nuova, che crea posti di lavoro, il governo potrebbe aiutarmi esentandomi per 3-4 anni dalle tasse».
Di lei si è molto parlato durante lo scorso mandato amministrativo per la vicenda del supermercato dietro l’ex cinema Pomponi. Andrà avanti con questo progetto?
«Io non mi lamento mai, ma forse quella è stata una cattiveria. Diversi passaggi erano già stati fatti, anche dal comune. Poi il consiglio comunale ha fermato tutto. Ricorrerò al Tar e se necessario al Consiglio di Stato. Credo che un supermercato di 800 metri quadrati ci stia bene in quella zona. Credo che aprirò il supermercato».
Che rapporti ha con la politica locale?
«Ho lavorato bene con il sindaco Paolo Perazzoli Ma già il suo predecessore Primo Gregori era uno che si prendeva le sue responsabilità. Se diceva sì bastava la parola: era cosa fatta. Con Martinelli devo dire di meno. Ho sistemato due sale del Palacongressi spendendo 300 milioni di lire, per dare impulso ai convegni. Pensavo ad un hotel a 5 stelle per quella zona, ma non se ne è fatto nulla».
Favorevole o contrario al progetto Calabresi per il Palacongressi?
«Non sono tanto favorevole. Scherzando potrei chiedere che fine fanno le “mie” sale, ma pazienza».
Cosa si aspetta dal nuovo Piano regolatore generale?
«Intanto che non si parli di delocalizzare le imprese vicino al Tronto. A me costerebbe almeno 30 milioni di euro. Chiedo invece che venga messo in sicurezza il fiume, sia allargando gli argini, sia rimuovendo i detriti di vecchi ponti, specie quello della ferrovia a cinque campate risalente all’oOttocento, che fu distrutto. I detriti rimasero nell’alveo. Ci vuole un progetto unitario per i due ponti, quello stradale e quello della ferrovia. I politici non possono non fare queste cose. Non devono più esserci alluvioni. È una cosa facile a farsi. Lo dice uno che ne ha subite quattro. Poi avevo un progetto…».
Che progetto?
«Anni fa proposi di realizzare un porto fluviale sul Tronto. Allora c’era anche la Cassa per il mezzogiorno. Ma non se ne fece nulla».
Il Piano regolatore incrocerà inevitabilmente l’attuale mercato immobiliare, che vede prezzi delle case altissimi a San Benedetto. Cosa pensa al riguardo?
«Sul mercato non si deve interferire impedendo di costruire, perché così si intaccherebbero i posti di lavoro. Ma al tempo stesso è vero che per i prezzi di oggi ci vuole un “forte calmante”. I prezzi andranno per forza abbassati, oggi sono una batosta per San Benedetto».
Molti pensano che lei sia l’unico a poter acquistare la Sambenedettese e a farla andare molto in alto. Lo farà? O è più facile costruire i due nuovi ponti sul Tronto?
«È che non ho tempo di occuparmi della Samb e neanche i miei familiari. Ho tre figlie e tre nipoti. Tutti, generi compresi, lavorano con me e neanche loro hanno molto tempo fuori dal lavoro. Del resto sono già stato vicepresidente per quindici anni ai tempi di Zoboletti. Ci rimisi 300 milioni di lire. Oggi non mi piacciono quelli che girano intorno alla Samb. E poi non so se me lo lascerebbero fare (Glielo lascerebbero fare, glielo lascerebbero fare… ndd)».
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