SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Da ieri è il nuovo primario del Pronto Soccorso dell’ospedale di San Benedetto. Stiamo parlando della dottoressa Giuseppina Petrelli. Noi l’abbiamo intervistata ponendo l’accento sulla sua carriera e poi sull’organizzazione e sui problemi che il reparto vive quotidianamente. Infine un rimando a recenti esternazioni che collegherebbero la sua nomina a alcune richieste di trasferimento avanzate da medici del reparto d’emergenza.

Dottoressa, che effetto fa questa nomina? 

“Sono molto felice perché lavorerò nel mio territorio e per il mio territorio. Sento il peso ma anche l’orgoglio della sfida, ho accettato di impegnarmi in questo ruolo per dare voce a medici, infermieri e Oss (Operatori Socio Sanitari) che in questi anni hanno creduto in questo modello e lavorato spesso al di sopra delle loro forze. So che ci saranno difficoltà, non le sottovaluterò, ma adesso questo traguardo non è dedicato solo a me ma anche a loro. Sono anche felice che sia stata confermata la scelta organizzativa iniziata col dottor Groff (il suo predecessore n.d.r.) perché sono stata testimone della situazione precedente e in questi anni c’è stato un miglioramento nella qualità dell’assistenza ai pazienti”.

Si ritrova a capo di un reparto, quello di Pronto Soccorso, che in questa città è spesso al centro delle discussioni

“Il nostro pronto soccorso? Ho partecipato, meno di un mese fa a Bologna, alla riunione di tutti i direttori di unità operativa complessa di pronto soccorso e medicina d’urgenza, organizzato da Simeu (Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza). Si è evidenziata, in quella sede, l’estrema criticità dell’organizzazione e del personale dei pronto soccorso di tutta Italia. All’interno di un quadro generale così, quello di San Benedetto che per accessi è il primo dell’Asur e il secondo della Regione (dopo Torrette, che è un’azienda autonoma n.d.r.) non può non presentare gli stessi problemi. Ci troviamo nella stessa situazione degli altri in questo Paese.”

Nonostante questo si parla spesso dei tempi d’attesa e di altri problemi che affliggerebbero il reparto

“Sì se ne parla, lo so. Probabilmente siamo una popolazione vivace che preferisce evidenziare i problemi piuttosto che nasconderli sotto la coltre e questo può essere un vantaggio per la comunità. A patto, però, che le notizie non vengano strumentalizzate.”

Ci spiega l’organizzazione del suo reparto?

“Per quanto riguarda l’organizzazione siamo un’eccellenza riconosciuta, è giusto porre l’accento sui tempi di attesa ma dobbiamo sviluppare una maggiore consapevolezza della qualità dell’assistenza ai pazienti che si presentano nel pronto soccorso di San Benedetto. Spiego perché. In questo campo esistono due modelli organizzativi: quello tedesco in cui il pronto soccorso fa un’accoglienza e prima gestione del paziente molto rapida e senza attese ma poi la persona viene demandata a un reparto specialistico senza un vero e proprio approfondimento diagnostico o una stabilizzazione. Poi c’è un altro modello, tipicamente anglosassone, in cui il dipartimento di emergenza diventa anche posto di stabilizzazione del paziente critico che viene studiato e indirizzato poi a un reparto di competenza. Si tratta di un’organizzazione più efficace ed efficiente perché il medico ha la possibilità di fare una diagnosi molto più appropriata avendo avuto a disposizione più tempo per l’osservazione. Questo modello è stato adottato da tutta l’Asur e anche da San Benedetto, dove siamo riusciti a raggiungere questo livello attraverso i sacrifici di tutti quelli che lavorano nel pronto soccorso”.

Quello della carenza del personale, e dei turni impegnativi degli operatori, sembra essere un altro problema.

“La carenza di personale è un problema nazionale, molti concorsi in tutta Italia vanno deserti e molti medici che lavorano nei dipartimenti di emergenza non partono con l’idea di fare questo lavoro. Magari si specializzano in Geriatria o Medicina Interna e  il pronto soccorso diventa una “tappa” della loro carriera e prima o poi, legittimamente, questi medici chiederanno il trasferimento verso il reparto di loro specialità. Nel rapporto vanno poi messi altri due elementi. Ci sono i carichi di lavoro, molto impegnativi in questo reparto, e che possono incidere nelle scelte dei medici. E poi il fatto che quello di San Benedetto è un piccolo ospedale, non un ospedale universitario che può contare sugli specializzandi.”

Quando abbiamo annunciato la sua nomina ufficiale abbiamo pubblicato anche il suo curriculum. Come è arrivata a questo punto? Perché ha scelto proprio l’emergenza nella sua carriera?

“Vengo dalla gavetta come molti miei coetanei e chiaramente comprendo tutte le difficoltà delle varie branche dell’emergenza, che parte dalla guardia medica e dal 118 (la c.d. emergenza territoriale n.d.r.) per arrivare a quella ospedaliera. Io ho fatto tutte le tappe, dalla guardia medica passando per la titolarità di 118 e poi sono diventata responsabile di medicina d’urgenza come unità operativa semplice prima di questa nomina. Ho scelto questo campo perché ho sempre avuto interesse per il lavoro che prevedesse impegno e competenza ma che consentisse anche di avere un risultato. Nell’emergenza sei chiamato ad agire rapidamente e decidere rapidamente ma anche i risultati si vedono subito”.

Ci sono state diverse uscite sulla stampa nelle scorse settimane, da parte di soggetti legati alla politica e anche al mondo dei sindacati, che hanno posto l’accento sulle richieste di trasferimento di medici del pronto soccorso di San Benedetto. In alcuni casi si è evidenziato, più o meno chiaramente, un nesso causale con la sua possibile nomina. Cosa ne pensa?

“Diciamo che io non ho avuto nessuna conferma di medici che se ne vanno perché arrivo io. Comprendo la difficoltà lavorativa che anche io ho vissuto e sarò io stessa a dare rappresentanza a queste difficoltà che sono oggettive, ma indipendenti dalla mia persona. Secondo me è stata fatta anche confusione fra modello organizzativo e carichi di lavoro. Se questi ultimi sono elevati noi non possiamo ridurre la qualità dell’assistenza. Proveremo a migliorare anche se è indipendente dalla nostra volontà perché dipende dal budget regionale e dagli investimenti dell’Asur, ma sono certa che troveremo una buona sponda da parte loro e dall’Area Vasta. Per scendere nel particolare di queste richieste di mobilità da parte dei medici del pronto soccorso c’è da dire che il nostro è un ospedale di confine e ci sono tanti abruzzesi che hanno la famiglia magari a Pescara e che chiedono il trasferimento per riavvicinarsi ai loro cari ogni volta che si riapre la mobilita, è sempre accaduto con chiunque fosse il primario. Fra chi ha chiesto il trasferimento, negli ultimi tempi non c’è nessun medico di San Benedetto”.

Crede che certe uscite, o illazioni a seconda di come vogliamo valutarle, possano dipendere dai suoi legami familiari e dal fatto che lei è moglie di un politico locale come Emidio Mandozzi?

“Mi auguro di no, mi auguro che non sia così perché mai ho mescolato la politica col mio lavoro. Non ho bisogno di raccomandazioni, nella mia carriera sono sempre andata avanti per i miei titoli”.