SAN BENEDETTO DEL TRONTO – I viaggi portano sempre con sé qualcosa di nuovo: un’emozione, una sensazione, una conoscenza. Il tragitto in macchina da San Benedetto del Tronto al Trentino-Alto Adige, effettuato in car sharing, è stato lo sfondo dell’incontro con la cantante indipendente Maria Devigili, trentina, di passaggio in terra marchigiana dopo aver partecipato al festival Mazzumaja, in scena dal 6 all’8 luglio a Comunanza.

Maria Devigili ha all’attivo tre album e un EP, oltre a un demo artigianale che vendeva quando suonavo in strada. Laureata in filosofia, ha sempre avuto la musica nelle vene: “Il mio approccio alla musica è avvenuto molto presto – ricorda l’artista – Sono l’ultima di cinque fratelli, ascoltavo i cantanti e le band di mia sorella più grande di nove anni. Per esempio, ho avuto una fase metallara a sei anni, quando lei ne aveva quindici”.

La cantante appartenente al movimento indie italiano ha iniziato a comporre pezzi propri sin da piccola, senza passare inosservata – o meglio, inascoltata: “Quando avevo sette anni, un insegnante di musica sentì una melodia suonare da lontano e chiese a mia madre chi fosse. Lei rispose ‘Mia figlia’ e a quel punto lui le consigliò di farmi studiare musica. Non è stato così alla fine, ma sono diventata comunque una musicista”.

Maria, come è iniziato il tuo percorso con la musica?

“Già a cinque anni suonavo pezzi miei su una piccola pianola, utilizzando i numeri come riferimento, dato che non sapevo leggere le note. Il fatto di non riprodurre mai melodie degli altri era una mia caratteristica. A nove anni circa ho iniziato a comporre canzoni con la chitarra classica, che ho imparato a suonare da sola”.

Quando hai capito che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro?

“Non ho mai pensato che la musica potesse essere un lavoro per me. Ho lasciato casa a vent’anni e ho cominciato a studiare e mantenermi. Ho fatto i lavori più svariati: dalla commessa in un negozio di profumeria alla promoter e ho prestato servizio civile per un anno nella redazione di un giornale gestito da disabili. Lì ho scritto molti pezzi. Ho iniziato a esibirmi dal vivo relativamente tardi. A 28 anni ho conosciuto una persona che suonava in strada e che mi ha dimostrato che si può vivere di musica. Questo incontro è stato la svolta per me”.

Qual è il tuo genere musicale e quali sono le tematiche trattate nei tuoi pezzi?

“Faccio soprattutto rock e pop rock, ma utilizzo anche elementi di prog e folk. Quando mi esibisco uso la chitarra elettrica, accompagnata da una batteria potente. Le tematiche che tratto sono prettamente filosofiche. L’ultimo album si chiama ‘Tempus Fugit’ ed è un concept album sul tempo in tutte le sue declinazioni, come la memoria, l’attesa, l’evoluzione, evocate con la musica. L’album precedente riguardava la trasformazione: tutto è trasformazione, anche il cibo che mangiamo”.

Cosa pensi del movimento indie italiano?

“È un movimento genuino, ci conosciamo tutti, anche se non tutti siamo nelle stesse condizioni. Per me musica indipendente vuol dire semplicemente essere liberi, non dipendere troppo da alcune richieste di mercato. Purtroppo oggigiorno esiste anche musica indie pensata a tavolino. Del resto, è una musica di qualità che, anche se non va in tv, muove tanti soldi. Ed è sempre più frequente trovare artisti di livello medio-alto circondati da sovrastrutture: bisogna contattare l’ufficio stampa giorni prima per farsi rilasciare un’intervista da certi gruppi o cantanti e avere a che fare spesso con il manager. Tutto questo è davvero poco indie”.

I tuoi progetti per il futuro?

“La mia priorità è finire il tour dell’album ‘Tempus Fugit’, che è iniziato a febbraio. Ora mi sto esibendo da sola, ma per l’autunno vorrei dare vita a un duo o a un trio. Dopodiché mi dedicherò a un progetto in inglese già pronto, per il quale manca solo la fase di registrazione. Dovrebbe uscire alla fine del prossimo anno”.