Di Alessandro Maria Bollettini

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La splendida cornice del Circolo Tennis Maggioni, gli ultimi raggi di sole, penetranti tra i fitti aghi di pino, la classica brezza marina estiva a rinfrescare la platea e tre personaggi, noti ai più, a raccontarci il lato più umano di uomini fuori dal comune, le stelle dello sport.

È questo l’obiettivo che si pone “Demoni”, il nuovo libro del giornalista e scrittore Alessandro Alciato, presentato a San Benedetto per ‘Incontri con l’Autore’, la rassegna creata da Mimmo Minuto: “Ho voluto raccontare il momento in cui l’umanità prende il sopravvento su tutto il resto, il momento in cui cambiano le priorità, il momento che cambia le visioni della vita”. In platea anche il famoso regista Enrico Vanzina che qualche ora dopo avrebbe presentato il suo libro “La sera a Roma” alla Palazzina Azzurra (e il giornalista Sky ricambierà la cortesia). In rappresentanza del Comune c’era l’assessore allo Sport, Pierluigi Tassotti.

A raccontare questo fatidico “momento” sono stati ben tredici uomini di sport, che, a detta del  famoso giornalista di Sky: “Si sono raccontati senza paure e senza vergogne; hanno raccontato dei loro timori, delle loro sofferenze; i loro demoni. Tutti noi conosciamo persone che hanno problemi e spesso il problema maggiore è proprio quello di non volerne parlare, o di non riuscire a farlo; per un lettore vedere che un calciatore ne è uscito e vuole raccontarlo può essere un grande esempio, per motivarlo a fare lo stesso. Spero che chi si approccerà a questo libro lo inizi a leggere con il ‘magone’ per poi finirlo con il sorriso.”

A coordinare l’incontro e stimolare l’autore sui vari temi trattati nell’opera sono stati invece i suoi due colleghi di Sky Sport, il sambenedettese purosangue Maurizio Compagnoni, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dell’incontro, e sua moglie Vanessa Leonardi.

I due coniugi hanno rivolto all’autore diverse domande, prima di lasciare la parola al pubblico presente.

Chi ti ha colpito di più mentre ti raccontava dei suoi “demoni”?

“Tutti gli incontri sono stati segnanti, ma tra tutti Kakha Kaladze, che ora è sindaco di Tbilisi ed in passato è stato anche Ministro e Vice-Premier georgiano. Mi ha raccontato di tutti gli anni in cui da un lato doveva pensare al Milan, con tutte le relative pressioni e gli impegni quotidiani, dall’altra pensava a suo fratello che era stato rapito e di cui non ha saputo nulla per circa cinque anni. Quasi ogni giorno i rapitori si mettevano in contatto con lui o con i suoi familiari  e richiedevano un riscatto periodicamente, salvo poi scoprire appunto cinque anni dopo che il fratello era in realtà stato ucciso pochi giorni dopo il suo rapimento. Lui ha raccontato dunque i cinque anni di convivenza con questo male, si è aperto, così come tutti gli altri, ed era quello che volevo.”

Cosa puoi raccontarci di Ibrahimovic?

“Lui è stato quello che ha parlato di più in assoluto. L’ho incontrato nel centro sportivo del Manchester United, perché allora giocava ancora lì e l’appuntamento che mi diede fu molto ‘alla Ibra’: mi disse che ci saremmo potuti parlare solo un quarto d’ora e che poi sarebbe andato via perché era pieno di impegni; invece ci incontrammo alle cinque del pomeriggio e alle nove di sera passate lo dovetti fermare io. Per questo bisogna conoscere questi personaggi, per superare le apparenze, Ibra è veramente una persona di cuore. Mi ha raccontato molto delle sue origini, di quando abitava a Rosengard, considerata una specie di ghetto; non è mai andato a Malmo fino ai 16 anni d’età. Mi ha spiegato che in Svezia se non sei biondo e con gli occhi azzurri devi faticare dieci volte più degli altri per importi, è per questo che ha dichiarato di essere il più forte giocatore svedese solo dopo aver vinto il Pallone d’oro Svedese dieci volte consecutive.  Mi ha parlato di quando ha sofferto la fame, perché il cibo mancava sia a casa della madre che in quella del padre, e di come andava agli allenamenti rubando delle biciclette che poi restituiva una volta tornato a casa. Ibrahimovic è stato ostacolato in tutto ciò che ha fatto, ma queste sofferenze lui le ha trasformate nella sua forza, ed è diventato “Ibra” in questo modo.”

Un altro personaggio curioso potrebbe essere Shevchenko…

“Sheva è arrivato fino al Pallone d’Oro scappando da Chernobyl, cui abitava molto vicino. Da un giorno all’altro lui e i suoi coetanei furono caricati tutti su un bus per andare a vivere a duemila chilometri da casa, dove ha studiato e giocato a calcio lontano dalla sua famiglia. Quello che mi ha raccontato è stato un lungo percorso fatto anche di perdite perché ogni settimana si veniva a sapere che un suo compagno non ce l’aveva fatta. La voglia di emergere che l’ha contraddistinto era anche un modo per ringraziare il destino e chi non era sopravvissuto. Nonostante sia apparentemente un personaggio di poche parole, ha parlato veramente a lungo soprattutto del momento in cui venne a sapere che, non potendosi il reattore spegnere con l’utilizzo dei robot, molti suoi conoscenti e amici si erano sacrificati per spegnerlo meccanicamente, perdendo la loro vita per il bene comune. Questa è una storia che è giusto che tutti conoscano, non è una persona antipatica, anche se può sembrare molto riservato; le storie che queste persone hanno vissuto, se le porteranno dietro per sempre”.

Tra gli altri hai intervistato anche Pisacane, che ha avuto la stessa malattia di Oscar Tabarez, commissario tecnico dell’Uruguay.

“La storia di Pisacane è la storia di una lotta triplice. È nato a Napoli in un periodo in cui era in atto la guerra di Camorra peggiore degli ultimi anni. Per lui da bambino era normale sentire spari in strada o vedere persone morte a terra, questo è stato il suo primo shock. Il secondo arriva quando è più grande ed si trova in ritiro con il Genoa: si sentiva sempre molto stanco e debole, ma pensava fosse per i carichi di lavoro della preparazione atletica; un giorno invece non riesce neanche a raggiungere la colazione e viene portato fuori dalla sua stanza in spalla da quattro compagni, per poi finire in coma più tardi. Lui ricorda lucidamente il momento prima di entrare in coma, ricorda di suo padre che gli disse che lo aveva sempre aiutato e affiancato in tutto, ma che stavolta doveva lottare e farcela da solo. Quando poi si risvegliò e aprì gli occhi vide per prima cosa suo padre. Il terzo schock riguarda invece il Calcioscommesse: mentre giocava a Ravenna gli venne proposto di combinare una partita in cambio di cinquantamila euro. Pisacane si chiese perché fosse stato chiesto proprio a lui, che non era intenzionato invece a partecipare alla combine: la risposta fu che lui era il meno pagato della squadra e quindi poteva avere bisogno di soldi per fare la ‘bella vita’, e che inoltre un motivo che aveva fatto propendere la scelta su di lui era stata la sua città di provenienza, Napoli. Pisacane denunciò il fatto e questo gesto lo ha portato ad essere spesso ospite della FIFA o dell’UEFA, finchè addirittura The Guardian, importante giornale inglese, non lo nominò giocatore dell’anno nel 2016. Ha raggiunto così un certo livello di popolarità, che è contento di aver ottenuto più con le sue storie e per come le ha superate che con il suo talento, che, comunque, lo ha portato a giocare in Serie A con il Cagliari”.

Successivamente è stata lasciata al pubblico la libertà di porre domande al disponibilissimo autore.

Tra le persone che ha intervistato c’è qualcuno che non ce l’avrebbe fatta senza il talento e la vita privilegiata che conducono i calciatori?

“Credo che con il carattere che hanno dimostrato sarebbero comunque arrivati in alto. Penso a Coulibaly (giocatore del Pescara, non il difensore del Napoli, nda), che è partito dal suo Paese in Africa con il sogno di giocare a calcio in Europa; ha attraversato il deserto, ha attraversato il mare su un gommone senza neanche saper nuotare. Arrivato a Livorno chiedeva la carità e dormiva sulle panchine, soffrendo il freddo e la fame. Poi a Pescara ha trovato delle persone che lo hanno aiutato ed è riuscito a raggiungere il suo obiettivo. Chi seguendo un sogno fa tutti questi sacrifici, lo raggiunge a presindere da quale esso sia”.

Quanto è stato sfortunato da 1 a 10 Billi Romero?

“Un uomo che aveva un solo idolo, Meroni. Aveva la macchina tappezzata di suoi poster, si sistemava i capelli come lui, si vestiva come lui: una sera lo investe a Torino e lo uccide, uccide il suo idolo. Quest’uomo ha vissuto tra il rimorso ed il tentativo di autoredenzione; è molto più difficile perdonarsi che essere perdonati. Anni dopo il destino ha voluto che diventasse il Presidente del Torino e che questo fallisse sotto la sua gestione, il tutto mentre il padre era scappato via”.

Balotelli?

“Da bambino andava a giocare all’oratorio e i compagni non lo facevano giocare perché era nero. Fino ai 18 anni non ha potuto esordire con la Nazionale Under21 perché non gli veniva concessa la cittadinanza italiana. Il racconto è quello di chi per diciotto anni ha dovuto lottare con il razzismo quotidianamente. Un uomo che ha ricevuto addosso caschi di banane, a cui sono stati dedicati cori come ‘non ci sono negri italiani’ o a cui è stato urlato ‘torna a casa tua’, quando casa sua è Brescia. Non so cosa avrebbe fatto senza il calcio, ma ora capisco da dove derivano i suoi atteggiamenti”.

Cassano racconta spesso che senza il calcio avrebbe preso brutte strade…

“È vero, ma senza la strada non sarebbe diventato Antonio Cassano. Dei racconti di Cassano è bello il momento in cui la sua umanità lo sovrasta, quando cioè dopo una partita di campionato si sente male all’aeroporto di Malpensa: prende il cellulare e scrive a sua moglie che la ama; in quel momento per lui non esisteva più niente, quel frangente ha cambiato le sue priorità, ha cambiato la sua visione della vita, ed infatti sono sparite anche le famose ‘cassanate’.”

C’è un personaggio con cui avresti voluto parlare e non ci sei riuscito?

“Mi sarebbe piaciuto parlare con Cristiano Ronaldo, ma ha dovuto declinare la mia proposta per motivi di sponsor. Credo che mi avrebbe raccontato del papà, che lottava con l’alcolismo, o di suo fratello, in lotta con la droga. Nel corso degli anni ha perso tanti amici e devolve da sempre enormi cifre di denaro in favore di queste cause. La sua intervista avrebbe lanciato messaggi importanti, magari un giorno la faremo! Anche Nainggolan ha una serie di demoni di cui ha preferito non parlare, perché non gli sembrava un messaggio giusto da trasmettere ad altre persone: mi avrebbe parlato di sua madre, che morì per eutanasìa; un giorno qualsiasi andò da lui e lo avvisò che una settimana dopo sarebbe morta. Quando il demone è una malattia, prima o poi la trovi e le dai un nome, in altri casi è più difficile.”

Ha dovuto scartare le rivelazioni di alcuni personaggi? Come li ha scelti?

“No, non ho scartato nulla, le storie dovevano essere tutte vere e senza alcuna censura; le storie che ho riportato sono di uomini con cui avevo un rapporto più diretto, e ho cercato demoni di tipi diversi”.

E Pirlo, ha avuto demoni?

“Lui a 7-8 anni aveva dei compagni di squadra che non gli passavano il pallone perché era più forte e non volevano che prevalesse sugli altri. Da bambino voleva smettere per colpa dei compagni. Suo padre non riusciva addirittura a vedere le partite di suo figlio insieme agli altri genitori perché questi lo insultavano ogni volta che toccava il pallone: ‘ma che fa quello, mica siamo al circo…’.”

Due ore memorabili, a parlare di uomini e di sentimenti, a spogliare i calciatori delle loro vesti sociali e vederli così come sono, così come erano; un po’ come la Luna, che nel frattempo si spogliava pian piano dei raggi del Sole e si mostrava così come molti di noi non l’avevano vista mai, oscura, coperta dai suoi “Demoni”.